Il ruolo della polizia giudiziaria nell’acquisizione della testimonianza del minore: alcune nozioni di base

28 Luglio 2012
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Con questo articolo continuiamo il nostro breve percorso all’interno delle cosiddette competenze relazionali e comunicative degli operatori di polizia locale, nello specifico come sono acquisite le prime informazioni testimoniali nei confronti di persone che hanno assistito a un reato o che ne sono rimasti vittima.

Gli studiosi di psicologia investigativa e della testimonianza negli ultimi anni si sono interrogati sul ruolo che possono avere gli operatori di polizia durante l’acquisizione delle informazioni testimoniali dai bambini o dai minori in genere, sviluppando ricerche ed elaborando delle linee guida.

Graziano Lori

 

Di seguito l’intervento di Michele Pastres, ispettore della Polizia Locale di Venezia, che espone il tema della testimonianza del minore da parte degli operatori di polizia.

 

Il ruolo della polizia giudiziaria nell’acquisizione della testimonianza del minore: alcune nozioni di base

La testimonianza del minore in ambito penale si sviluppa tra il rispetto di due esigenze solo apparentemente contrastanti: da un lato l’attività investigativa che ricerca informazioni utili alla ricostruzione dell’evento criminale e alla prosecuzione dell’azione penale, dall’altro la tutela dell’integrità psicofisica del minore, che la stessa giurisprudenza definisce soggetto ‘vulnerabile’, già provato dalla violenza diretta o assistita che sia. La tensione che si genera tra le due istanze è a nostro avviso risolvibile grazie ad un’attenta lettura delle stesse norme giuridiche e all’adozione di idonee tecniche di interviste standardizzate e di comprovata efficacia. Tra le funzioni obbligatorie e basilari della Polizia Giudiziaria, ex art. 55 C.P.P. risulta infatti l’assicurazione delle fonti di prova, rappresentate nel nostro caso dal futuro, piccolo testimone. La tutela dell’integrità psico-fisica del minore, messo a riparo da fenomeni di vittimizzazione secondaria e dalla tensione conseguente a possibili, ripetuti colloqui davanti a più soggetti, operatori di P.G., magistrati, avvocati, consulenti, ed in contesti diversi, l’ufficio della Procura, quello del legale, l’aula di un Tribunale, diventa lo strumento di preservazione e protezione della “memoria” dei fatti assisti e/o vissuti. Non solo la memoria deve essere protetta ma anche la rievocazione, la narrazione del ricordo deve godere della stessa tutela al fine di evitare il verificarsi di fenomeni quali l’induzione di “falsi ricordi” o la suggestionabilità del piccolo testimone. Attualmente le norme in vigore forniscono la possibilità che il teste sia sentito nel corso di una audizione protetta posta a garanzia della particolare tutela di cui i minori godono e a salvaguardia dell’efficacia probatoria dell’audizione stessa. Si tratta di una modalità di assunzione della prova testimoniale che il Giudice può disporre nei casi previsti dalla legge e attinenti a reati sessuali in cui siano coinvolti minorenni. L’art. 398, c.5 bis, stabilisce che l’udienza possa svolgersi anche in ambienti ‘protetti’ diversi dall’aula del Tribunale, inclusa l’abitazione del testimone. Se invece l’audizione avviene in locali opportunamente allestiti, essi dovranno consentire un setting d’ascolto che preveda una stanza dotata di specchio unidirezionale, dispositivi di videoregistrazione, citofono interno per comunicare con gli altri soggetti coinvolti presenti in una seconda stanza posta dietro allo specchio. Le domande, poste dal Giudice, saranno recepite da persona esperta, specializzata nel condurre l’interrogatorio, che le tradurrà in un linguaggio adatto e comprensibile all’età e alle funzioni cognitive del minore.

 

Ciò non esclude, però, che il minore entri in contatto con gli operatori di Polizia in una fase antecedente o che, qualora il giudice non ravvisasse gli estremi per procedere in ambito di audizione protetta, l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria sia investito del ruolo d’interrogante. In ogni caso è essenziale che l’operatore delle FF.OO. abbia a disposizione alcune nozioni fondamentali per non nuocere al minore testimone, di solito anche vittima, né compromettere il successivo iter investigativo- processuale. Sinteticamente, l’operatore che si accinge ad un colloquio con un minore, dovrebbe considerare:

 

–          La suggestionabilità del bambino. Il piccolo teste tenderà quindi a credere a tutto ciò che l’interrogante gli suggerirà, giusto o sbagliato che sia. Per il bambino l’adulto è una figura onnisciente ed autorevole alla quale credere sempre;

–          il pensiero e la ‘logica’ del bambino, che non sono quelle dell’adulto e seguono regole diverse basate sulle libere associazioni piuttosto che su interconnessioni di tipo logico.

 

Nel caso dell’intervista al minore vittima di abuso, sono state sviluppate nel corso degli anni diverse metodologie. Oltre all’Intervista Strutturata, tra le più usate, specie nei paesi di cultura anglosassone, sono l’Intervista Cognitiva per Bambini e la Step-View Interview. In Italia autorevoli punti di riferimento sono dati dalla cosiddetta Carta di Noto, elaborata nel 1996 ed aggiornata nel luglio del 2002, che fornisce linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale, e l’allegato al Protocollo di Venezia, del settembre 2007, specificamente pensato per il minore coinvolto in abuso sessuale collettivo. Entrambi i documenti, seppure rivolti ai professionisti incaricati di consulenza tecnica o perizia in ambito forense, contengono fondamentali indicazioni utili anche per l’operatore di Polizia Giudiziaria. Dal punto di vista strettamente operativo, riteniamo utile fornire alcuni suggerimenti, frutto della ricerca e oramai largamente condivisi e accettati, per cercare, anche in assenza di una specifica professionalità, di minimizzare sia gli effetti distorsivi sul ricordo che quelli deleteri sullo stato psico-emotivo del testimone. In sintesi intendiamo proporre uno schema di intervista suddiviso in quattro fasi: pianificazione, accoglienza, inizio e sviluppo, commiato conclusivo.

 

Pianificazione. È indispensabile e prioritario acquisire preventivamente informazioni utili a farsi un’idea delle competenze linguistiche e cognitive del minore che, seppure già esplicate in linea di massima in un buon manuale di psicologia evolutiva, si differenziano comunque da bambino a bambino. In tal senso, anche un semplice colloquio con le insegnanti del piccolo testimone potrebbe contribuire a fornire delle prime indicazioni utili. Indispensabile sarà la predisposizione di un luogo idoneo allo svolgimento dell’intervista specie nel caso che si proceda alla videoripresa, accorgimento quest’ultimo auspicabile perché in grado di evitare, almeno in parte, il logorante ripetersi di interviste/interrogatori e la possibilità di introdurre ulteriori fonti di distorsione del ricordo derivanti sia dai naturali fenomeni legati all’oblio, sia a successive modalità non corrette di condotta dell’intervista. La stanza, che dovrà assicurare riservatezza, tranquillità, assenza di interruzioni, risulterà ad un tempo accogliente ma priva di fonti di possibile distrazione. Da ultimo, la pianificazione include una valutazione temporale dell’intervista stessa: in linea generale essa dovrà durare 45/60 minuti, anche se non si tratta di un termine perentorio ma da calibrare in relazione all’età ed alla reazione del bambino. Ragionevole è pensare di introdurre delle pause, ad esempio per bere. In ogni caso, se il minore dovesse presentare sintomi di sofferenza, ansia, difficoltà di attenzione l’intervista andrà sospesa.

 

Accoglienza. L’imperativo in questa fase è quello di mettere a proprio agio il bambino, riuscendo a farlo rilassare per meglio costruire con lui il rapporto. Un primo possibile ostacolo è rappresentato dalla diffidenza dei bambini nei confronti degli estranei: l’insegnamento del non parlare agli sconosciuti  infatti è comune. Nella costruzione del rapporto potranno rivelarsi utili, specie con i più piccoli, dei giochi o del materiale da disegno che dovranno essere utilizzati esclusivamente allo scopo di aiutare il bambino a distendersi e non come strumenti per raccogliere informazioni. L’intervistatore che, tranne il caso della presenza necessaria di mediatori culturali, sarà solo con il bambino avrà cura di iniziare il colloquio mantenendosi su argomenti neutri. Così facendo avrà modo di verificare le competenze linguistiche ed il livello di sviluppo cognitivo del minore, impadronendosi anche del suo lessico. Quando il clima creatosi fra intervistatore e bambino lo consentirà, l’operatore introdurrà i motivi dell’intervista e le sue regole base. In particolare l’intervistatore, allo scopo di evitare il più possibile la suggestionabilità e fenomeni di compiacenza, cercherà di non enfatizzare troppo il suo ruolo proponendo alcune strategie comunicative al bambino, quali la possibilità di rispondere ‘non so’, ‘non ricordo’, ‘non ho capito la domanda’ e verrà spiegata, attraverso una serie di esempi concreti, la differenza fra verità e bugia richiedendo al bambino la necessità di essere veritiero nell’esposizione dei fatti. Con il bambino piccolo queste accortezze non potranno, a causa del livello di sviluppo cognitivo, essere applicate. In questo caso, le prescrizioni indicate si riterranno rispettate attraverso la corretta impostazione del rapporto intervistato/intervistatore che il bambino dovrà percepire come sincero, attento ed interessato. Diversamente, il minore non comunicherà in maniera altrettanto aperta e sincera con l’adulto.

 

Inizio e sviluppo. L’argomento dell’abuso andrà introdotto gradualmente, senza forzature, lasciando il bambino libero di parlarne. È il momento del racconto libero nel quale l’intervistatore dovrà limitarsi ad agevolare la narrazione, favorendo la comunicazione: ogni sforzo dovrà esser fatto per cercare di ottenere informazioni spontanee, non guidate o suggerite. Terminata la narrazione libera, allo scopo di acquisire ulteriori informazioni, l’intervistatore passerà alla fase delle domande che dovranno essere aperte e, se possibile, proposte utilizzando le stesse espressioni linguistiche già adoperate dal bambino. Nella loro formulazione, l’intervistatore dovrà sempre tenere presente che alcune tipologie di domande possono suggestionare o determinare la creazione di falsi ricordi. Si eviteranno di proporre domande costruite in maniera troppo elaborata e ricorrendo ad un linguaggio da ‘adulto’ e domande che contengano già la risposta nella loro formulazione. Si farà ricorso a domande chiuse, offrendo almeno tre alternative di risposta, solo se strettamente necessario e, comunque, sempre dopo le domande aperte. Da ultimo, l’uso di domande introdotte dal ‘perché…’ dovrà essere limitato in quanto c’è la possibilità che il bambino le percepisca come attributive di colpa. Il ritmo dell’intervista dovrà mantenersi calmo, equilibrato, rispettoso delle pause, dei silenzi e dei dinieghi del bambino.

 

Conclusione. Al termine dell’intervista, l’operatore controllerà assieme al bambino di aver ben capito l’accaduto attraverso un resoconto dei fatti salienti. La narrazione dovrebbe essere fatta cercando di utilizzare il più possibile lo stile comunicativo e le parole del piccolo testimone il quale sarà incaricato di correggere o integrare se necessario, la versione fornita dall’adulto. In vista del commiato, l’intervistatore ricondurrà l’oggetto della conversazione su argomenti neutri, chiederà al bambino se ha richieste, domande, curiosità da soddisfare e si renderà disponibile ad una amichevole chiacchierata. Alla fine, nel ringraziarlo per lo sforzo fatto ed il tempo dedicato, l’operatore darà la sua disponibilità ad esser contattato in caso di futuri problemi o curiosità sorte nell’ambito dell’intervista e fornirà, direttamente al bambino o, se troppo piccolo, all’adulto che lo ha accompagnato, i numeri telefonici dove poter essere reperito oltre ad eventuali recapiti per chiamate d’emergenza.

 

Concludiamo con una riflessione sull’importanza che rivestono in ambito investigativo-processuale i primi incontri, le Sommarie Informazioni, il primo approccio degli operatori delle FF.OO. con i futuri testimoni/vittima: basta un solo ricordo suggerito per trasformare un innocente in un mostro mentre il colpevole continuerà, indisturbato, la sua vita.

 

Ispettore Michele Pastres

Corpo di Polizia Locale Venezia