Sono legittime le modifiche al regolamento comunale avente ad oggetto il servizio di trasporto destinato a persone assolutamente impedite all’accesso ed alla salita sui mezzi pubblici di trasporto – T.A.R. Piemonte, 29/8/2014

11 Settembre 2014
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Laddove: – circoscrivono il diritto alla fruizione delle prestazioni sostitutive del trasporto pubblico locale (minibus e buoni taxi) ai soli cittadini che non beneficino dell’autorizzazione alla sosta riservata nei pressi dell’abitazione, ai sensi dell’art. 381 del d.P.R. n. 495 del 1992; – determinano un aggravio tariffario a carico degli utenti disabili, in relazione al valore aggiornato del buono taxi ed alle fasce di reddito (da calcolarsi sulla base dell’indicatore Ise), ai fini della contribuzione individuale al servizio. Al riguardo, va rilevato che il servizio pubblico di trasporto dei disabili viene erogato nei limiti delle disponibilità finanziarie dell’ente locale, così come espressamente stabilito dall’art. 26, comma 2, della legge n. 104 del 1992, ai cui sensi i Comuni assicurano “nell’ambito delle proprie ordinarie risorse di bilancio” modalità di trasporto individuali per le persone disabili che non sono in grado di servirsi autonomamente dei mezzi pubblici. Seppure al più limitato fine del riparto di giurisdizione, la giurisprudenza ha affermato, in termini sintetici ma sostanzialmente condivisibili, che in capo al soggetto disabile è configurabile un interesse legittimo e non un diritto soggettivo pieno all’ottenimento dei benefici, “atteso che, come si evince dalla citata legge 5.2.1994 n. 104, art. 26 – comma 2, la rivendicata provvidenza viene concessa sulla base di una compatibilità con le risorse di bilancio, da valutarsi discrezionalmente dalla pubblica amministrazione” (così Cass. civ., Sez. un., 20.2.2007, n. 3848). Partendo dalla nota ed ormai risalente definizione dei cosiddetti diritti sociali quali “diritti finanziariamente condizionati”, la dottrina più recente ha affrontato il profilo della doverosità delle prestazioni pubbliche, e delle connesse implicazioni relative alla tutela delle aspettative di prestazione degli utenti, evidenziando che queste non possono che dipendere dall’intervento dapprima del legislatore, in seconda battuta dell’amministrazione, in entrambi i casi con il vincolo delle risorse finanziarie disponibili. In tal senso, la prospettiva costituzionale della “doverosità” ha fornito anche una chiave di interpretazione di quella che si è definita la “gratuità selettiva” delle prestazioni sociali, carattere che si presenta strettamente connesso alla natura finanziariamente condizionata dei diritti di cui esse sono oggetto. La considerazione della scarsezza delle risorse ha cioè indotto il costituente ed il legislatore ordinario a delineare un modello di Stato sociale necessariamente parsimonioso e, di conseguenza, selettivo nella garanzia dei servizi minimi e nella individuazione dei destinatari degli interventi. Sul piano della tutela, ne è derivata la diffusa consapevolezza circa la molteplicità ed eterogeneità delle situazioni soggettive in cui si dissolve la categoria dei diritti sociali, in ragione del loro carattere finanziariamente condizionato. Si è così rilevato che potrà aversi un diritto soggettivo solo qualora la legge specifichi il contenuto del dovere di protezione sancito dalle norme costituzionali, configurando il comportamento dovuto dall’amministrazione quale elemento di un concreto rapporto giuridico, in relazione a determinate prestazioni da garantire a dati soggetti, e quindi come vero e proprio obbligo dell’amministrazione stessa. Qualora, invece, non vi sia tale specificazione nella norma di legge ed il dovere resti fuori dall’orbita di ogni rapporto giuridico, la posizione soggettiva del cittadino non assurge al rango di diritto, potendo al contrario atteggiarsi, a fronte del potere amministrativo che deve essere attivato per organizzare il servizio, ad interesse legittimo o potendo rimanere, in talune ipotesi, addirittura confinata sul piano degli interessi di mero fatto. Nella specie, è proprio l’evidenziata genericità del precetto posto dal legislatore ordinario con l’art. 26, comma 2, della legge n. 104 del 1992 ad escludere la sussistenza di puntuali obblighi di risultato esigibili dagli enti locali negli standard di prestazioni sociali in favore dei disabili motori.

2. È illegittimo il contratto di servizio con cui il comune ha affidato la “gestione integrata dei trasporti disabili, scolastici ed assistenziali”, nella parte in cui non contempla a carico del gestore alcun onere di eliminazione delle barriere architettoniche e comunque l’esecuzione di interventi atti a consentire alle persone disabili di muoversi liberamente sul territorio, usufruendo alle stesse condizioni degli altri cittadini dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi, anche in ottemperanza ad un piano o programma pluriennale. Come fondatamente denunciato, la mancata adozione di una programmazione pluriennale degli interventi ha impedito di distribuire nel tempo le attività, gli investimenti ed i relativi oneri finanziari gravanti sui bilanci dell’ente. Il contratto di servizio trasferisce al concessionario il solo obbligo di garantire le modalità di trasporto alternativo con mezzi attrezzati (taxi e minibus), senza tuttavia adempiere al più generale obbligo di pianificazione dell’eliminazione delle barriere architettoniche, che il legislatore ha imposto agli enti locali con l’intento di perseguire la piena e libera fruizione del servizio pubblico da parte degli utenti disabili.

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