La raccolta e il trasporto di rifiuti in forma ambulante – A. Pierobon

12 Dicembre 2014
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La recente sentenza della Cass. pen., sez. III, n. 29992/14 depositata in data 9.7.2014 ci consente di meglio chiarire la (invero tormentata) tematica della raccolta e del trasporto di rifiuti in forma ambulante, sulla quale – ultimamente – sia la giurisprudenza, che la dottrina si sono assai interessate.
Quest’ultima (la dottrina) naviga – per semplificare la sua varietà – tra letture estensive e restrittive, non senza fare istologia con il criterio della letteralità, altre volte volendo trovare – a tutti i costi – una sorta di “incastro geometrico” al testo giuridico (che, nel tempo, si è riferito alle diverse norme settoriali, in buona sostanza sul titolo abilitativo degli ambulanti e sulla disciplina del commercio).
Qualcheduno si è – giustamente – attenzionato anche sulla classificazione (e gestione) del materiale raccolto da questi operatori ambulanti, soffermandosi sulla privativa comunale.
Si è, quindi, affermato che ove l’attività degli ambulanti tratti (come perlopiù avviene) rifiuti urbani (non pericolosi) avviati al recupero, questi rifiuti possano, per ciò stesso, essere gestiti fuori privativa da altri soggetti (terzi rispetto il servizio pubblico) autorizzati, cosiccome (appunto) dagli ambulanti.
Il che, in via di principio, è condivisibile, nonostante taluni difetti sistematici e/o l’esistenza di specifiche discipline (per es. si vedano i rifiuti da imballaggi, in particolare quelli primari).
Altri autorevoli Autori sembrano (rifacendosi alle origini del mestiere di ambulante) voler limitare l’attività degli ambulanti (non iscritti all’Albo gestori ambientali) al solo commercio dei materiali “usati”, e così via.
A noi pare (e lo esplicitiamo da subito) che possa ben ipotizzarsi di “giuridificare” (per “legalizzare” se non “liberalizzare”) una attività di raccolta e trasporto di rifiuti purché sia obiettivamente e scarsamente rilevante sotto vari profili di cui si darà qui cenno.
Anzitutto, il profilo della pericolosità alla salute umana e della tutela dell’ambiente.
Poi, il profilo del rilievo quantitativo del rifiuto e, infine, l’assenza di caratteristiche cosiddette imprenditoriali (sul quale concetto vedasi oltre) nello svolgimento di queste attività.
In proposito guardando ad esperienze estere, vieppiù emerge un riconoscimento (avente valenza sociale) per queste attività, che vengono ammesse (qualcuno direbbe “tollerate”) dalla pubblica autorità.
Ad esempio nella città di New York (1), come in altre realtà (ad esempio nella vicina Croazia) (2).
Inoltre, a noi pare, che sia fallace la testardaggine di chi afferma, ad es., che se una norma esiste, cosiccome esiste una sua deroga, quest’ultima deve trovare una qualche applicazione (3).
Occorre, infatti, capire se la norma, come dire, “gira”… ovvero se è applicabile (e come) al caso concreto in esame, oppure se fa “cortocircuito”.
Ma, prima ancora, occorre veramente trovare un senso alla norma, il che non può avvenire solamente inforcando gli occhiali del codice e/o ricorrendo ai soliti canoni ermeneutici (magari sintetizzati o ridotti a piccole formule liturgiche) cosiccome impartiti sui banchi di scuola (4).
Ancora, volendo stampellare quanto nella norma è fragile e sconnesso, non manca chi chiede dei “correttivi” giustificandoli al fine di intonare la “originaria” previsione normativa alla nuova situazione che, nel frattempo, si è venuta a creare in ambito socio-economico, con ciò affermando che la problematica del commercio ambulante fino a poco tempo fa non esisteva.
In realtà questo problema esiste da tempo (nei suoi connubi con la zona grigia dei rifiuti), per cui – semmai – si deve umilmente comprendere non solo cosa sia cambiato nell’attività di ambulante dedito ai rifiuti e quali nuove problematiche emergano nel nuovo contesto o scenario, ma pure se la “tolleranza” statale nei confronti di queste attività sia cambiata e perché.

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