Importante sentenza sulle maggiorazioni e sulla somma che il ricorrente deve pagare in caso di sentenza dove il giudice non determina la sanzione.

Si ringrazia l’abbonato per il prezioso contributo.

26 Agosto 2016
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La Cassazione con questa SENTENZA si è pronunciata su due temi di assoluta rilevanza, confermando senza ombra di dubbio l’applicabilità delle maggiorazioni in sede di riscossione coattiva delle sanzioni derivanti da violazioni del codice della strada, quando il verbale è divenuto titolo esecutivo. Ha anche valutato il caso in cui il giudice di pace, anche se la legge lo prevede, non si pronuncia sull’entità della sanzione, confermando la sentenza di appello favorevole all’interpretazione secondo la quale il verbale deve essere pagato nella somma che si è determinata a seguito della rinuncia del beneficio del pagamento in misura ridotta. Su entrambi i temi si è scritto molto in questi anni su questa rivista elettronica e a tali conclusioni dell’autore è necessario richiamarsi.

SULLE MAGGIORAZIONI

L’ultima volta che ce ne siamo occupati, a sollevare la questione era stata l’Avvocatura di Stato,  che aveva abdicato, direi in maniera del tutto acritica, alla ben nota, quanto apodittica, sentenza della Corte di cassazione, sezione II, 16 febbraio 2007, n. 3701[1].

Mi pare doveroso evidenziare come questo parere sia giunto dopo 21 anni dall’entrata in vigore del codice della strada e, nonostante questo, si limiti a “recepire” il contenuto già di per sé laconico della citata sentenza[2], senza preoccuparsi degli effetti di tale azzardata conclusione, non solo sul futuro del sistema di riscossione, ma anche per il pregresso, dato che a qualcuno potrebbe balenare in mente di attivare un procedimento civile per indebito oggettivo, o addirittura una class action, anche se, mi pare di poter dire, sia poco sostenibile il ragionamento che trova unico fondamento nella sentenza del 2007.

Ora, siccome il parere dell’Avvocatura nulla aggiunge, in sostanza, alla già conosciuta, quanto isolata, sentenza del 2007, anche a me riesce difficile trovare ulteriori argomenti per confutare un ragionamento che non pare tenere conto del contesto in cui è calato l’articolo 206 e delle peculiarità del sistema sanzionatorio del codice della strada. Mi pare di poter azzardare, forse con un fondo d’immodestia di fronte a soggetti ben più autorevoli dello scrivente, che si è fatta confusione tra la fase in cui il verbale si trasforma in titolo esecutivo, per cui direttamente lo stesso verbale determina un credito certo, liquido ed esigibile e la fase successiva, in cui tale titolo esecutivo, rimasto sino allora “quiescente”, viene “attivato” con il procedimento di riscossione coattiva. Sostenere che l’articolo 203, comma 3, rappresenta una norma speciale rispetto all’articolo 206, mi pare evidenzi una lettura superficiale del sistema sanzionatorio specifico del codice della strada, che non tiene conto, da un lato, della natura dell’istituto del pagamento in  misura ridotta ritenendo la conseguenza dell’articolo 203, comma 3 come una sorta di comminatoria di un’ulteriore sanzione (del 100%, sic!) e dall’altro ritiene che tale ulteriore sanzione assorba le maggiorazioni dovute nella fase successiva della riscossione coattiva. Ma tanto si ritiene sia una conclusione errata, basata più su un’interpretazione “di pancia” che non di diritto, di fonte alla poco “digeribile” maggiorazione del 20% annuo.

Già da tempo si erano registrati cori di sdegno di fronte alle maggiorazioni, ritenute come un ulteriore balzello e in una sentenza di merito, addirittura, era stata ritenuta “eccessiva” la maggiorazione prevista ex lege, sulla base del fatto che il legislatore del 1981 avrebbe ritenuta congrua la misura del 10% semestrale in quanto parametrata a un tasso di inflazione più elevato di quello odierno. In realtà, non trattandosi di interessi, ma bensì di una “sanzione aggiuntiva”, come l’ha correttamente definita la Corte Costituzionale, il rapporto tra inflazione e maggiorazione non ha alcun rilievo giuridico.

Parimenti, non ha pregio la tesi secondo la quale si farebbero pagare “interessi” (che abbiamo invece detto essere maggiorazioni) per i ritardi nell’emissione del ruolo da parte della p.a., ipotizzando un intento di lucro nella lentezza dell’ufficio procedente, in quanto i giudici e i difensori dimenticano due aspetti basilari: il primo è che l’emissione del ruolo è dovuto alla negligenza del debitore, il quale, se avesse pagato nei termini non avrebbe avuto a dolersi delle maggiorazioni; il secondo è che in qualsiasi momento il debitore poteva estinguere l’obbligazione, anche successivamente al 60° giorno dalla notifica o contestazione del verbale, con ciò evitando le maggiorazioni o comunque riducendone l’importo.

Relativamente all’applicabilità delle procedure di riscossione coattiva anche ai verbali per i quali non è intervenuto il pagamento in misura ridotta, in verità, la soluzione appare fin troppo banale, dato che lo stesso articolo 206 del codice della strada, il quale, si ricorda, è norma speciale per quel che riguarda la procedura sanzionatoria del codice della strada, dispone come segue: “Se il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204, salvo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (sospensione dell’esecutività disposta dal giudice N.d.A), la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria è regolata dall’art. 27 della stessa legge 24 novembre 1981, n. 689“. Quindi, siccome non vi possono essere dubbi che si tratta del mancato pagamento in misura ridotta delle sanzioni per violazioni al codice della strada (articolo 202), ovvero delle ordinanze ingiunzioni (articolo 204), non si vede su quali basi si fondi il ragionamento della Cassazione. Il richiamo all’articolo 27 della legge del 1981 è effettuato dal codice della strada anche per i titoli esecutivi derivanti da verbali e l’applicabilità di tale norma non trova limiti o deroghe. Quindi, il rinvio alla procedura dell’articolo 27 non può che intendersi riferita a tutte le disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle sanzioni amministrative e quindi anche alle maggiorazioni semestrali.

A tanto non ha creduto nemmeno il Giudice di pace di Bari che, con sentenza del 7 marzo 2011, n. 1606, ha condiviso la tesi della “‘illegittimità dell’iscrizione a ruolo delle maggiorazioni ex art. 27 legge n. 689/81” sostenendo che “ Invero, Cass. n. 3701/07 ha affermato il principio condiviso da questo giudice secondo cui alle sanzioni pecuniarie derivanti da infrazioni al codice della strada si applica l’art. 203, comma 3, C.d.S., che, in deroga all’art. 27 legge n. 689/81, in caso di ritardo nel pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, prevede, l’iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale e non anche degli aumenti semestrali del 10%, ritenendo con ciò illegittimo l’addebito della maggiorazione”. Sulla legittimità delle maggiorazioni applicate anche ai titoli esecutivi derivanti da sanzioni per violazioni del codice della strada, non pagate nei termini, si veda su questo servizio la sentenza della Corte di Cassazione Civile sez.II 22/10/2007 n. 22100 che incidentalmente ha confermato la piena applicazione dell’articolo 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, precisando “Infatti ai sensi dell’art. 203, comma 3 CdS, il verbale costituiva titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo edittale e per le spese di procedimento. Per l’art. 27 L. n. 689 del 1981 poi quella misura andava aumentata di un decimo per ogni semestre di ritardo a decorrere da quello in cui la sanzione era esigibile, e ciò sino a quando il ruolo non veniva trasmesso all’esattoria. Si trattava perciò di meccanismi automatici, per i quali nessuna discrezionalità sussisteva in capo al decidente, in mancanza di un provvedimento dell’autorità amministrativa relativo al rigetto o accoglimento di opposizione “.

Anche di recente, la Corte di cassazione civile, sez. II, con sentenza 22 dicembre 2011,  n. 28389 ha ribadito la natura sanzionatoria delle maggiorazioni e ha ripetuto che “La questione di legittimità costituzionale dedotta, ancorchè rilevante (siccome concernente la diretta applicabilità dell’art. 27, comma 6 della legge n. 689 del 1981), è, tuttavia, da ritenersi manifestamente infondata, avendola già ritenuta tale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 308 del 1999, sulla scorta della quale la denuncia della questione muove dalla erronea premessa dell’identità di natura e funzione dell’istituto degli interessi moratori o di pieno diritto nelle obbligazioni tra privati e dell’istituto delle maggiorazioni delle sanzioni amministrative pecuniarie in caso di ritardo nel pagamento, mentre la maggiorazione per ritardo prevista dall’art. 27 citato a carico dell’autore dell’illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, ha funzione non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione aggiuntiva nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale. Alla stregua di tale decisiva argomentazione, il giudice delle leggi ha, perciò, concluso per la mancanza di omogeneità dei termini di raffronto necessaria a fondare un eventuale giudizio di disparità di trattamento rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 1.” Sulla natura di sanzione attribuita alle maggiorazioni si possono leggere anche numerose sentenze del giudice amministrativo (Consiglio di Stato sez. VI del 20 luglio 2009, n. 4510; 21 febbraio 2008, n. 636; Tar Lazio sez. I, 13 marzo 2007, n. 2291 e altre). Tuttavia, il vulnus sul quale potrebbe (erroneamente) aver fatto leva la sentenza n. 3791/2007, alla quale si sono accodate alcune sentenze di merito e, infine, proprio il parere dell’Avvocatura, forse risiede in una lettura restrittiva dell’articolo 206 del codice della strada, nella parte in cui richiama l’articolo 27 della legge 689/81 per i casi in cui il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204, senza citare l’articolo 203. Ma se tale fosse il ragionamento seguito dai giudici (e mi meraviglierei), allora il problema non sarebbe costituito dalle maggiorazioni, ma bensì dalla possibilità di procedere alla riscossione coattiva mediante ruolo. Ovviamente tale interpretazione sarebbe censurabile sotto ogni profilo, dato che gli articoli 202 e 204 del codice della strada individuano il termine entro il quale può essere effettuato il pagamento spontaneo delle sanzioni indicate nel verbale di contestazione o nell’ordinanza ingiunzione di pagamento adottata dal Prefetto, mentre l’articolo 203, ultimo comma, attiene alla fase precedente rispetto alla riscossione coattiva e cioè alla formazione del titolo esecutivo nel caso in cui il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 202 del codice della strada non sia stato effettuato, così come tra l’altro dispone l’articolo 204, comma 3[3].

In sostanza, la conseguenza del fatto che il pagamento non sia avvenuto nei termini previsti dall’articolo 202 è descritta nell’articolo 203, ultimo comma, mentre l’articolo 206 del codice della strada indica le modalità con le quali deve avvenire la riscossione coattiva, con espresso e totale rinvio alle disposizioni dell’articolo 27 della legge del 1981. Pertanto, non è affatto vero che l’entità della sanzione per omesso pagamento in misura ridotta  escluderebbe l’applicazione delle maggiorazioni, in quanto l’articolo 203, ultimo comma, costituisce norma speciale rispetto all’articolo 206 del codice, poiché il pagamento in misura ridotta continua a rappresentare un beneficio di legge, rispetto alla somma da iscrivere a ruolo nel caso in cui l’obbligato non si sia avvalso di tale beneficio.

Ma per fugare qualsiasi dubbio, pare doveroso richiamarsi alla più volte citata pronuncia della Corte Costituzionale, che con l’ordinanza n. 308 del 14 luglio 1999, si è occupata proprio dell’articolo 206 del codice della strada e dei suoi rapporti con l’articolo 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, relativamente alla natura maggiorazioni e tale natura non può certo venire meno laddove la riscossione coattiva riguardi il verbale divenuto titolo esecutivo. I Giudici infatti, hanno risposto alla domanda circa la costituzionalità della norma, sostenendo che “la maggiorazione per ritardo prevista dall’art. 27, sesto comma, della legge n. 689 del 1981 a carico dell’autore dell’illecito amministrativo, cui sia stata inflitta una sanzione pecuniaria, ha funzione, non già risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione aggiuntiva, nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale”, chiarendo, semmai ve ne fosse stata la necessità, che “d’altronde, neppure con riguardo al regime ordinario delle obbligazioni tra privati sarebbe pertinente il richiamo, contenuto nell’ordinanza di rimessione, al capoverso dell’art. 1227 cod. civ. Infatti, l’onere di diligenza che questa norma fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell’agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione”, infine dichiarando la questione sollevata manifestamente infondata sotto tutti i profili prospettati.

Cominciamo di nuovo, quindi, dall’origine di tutti i mali, cioè dall’isolata sentenza della Corte di cassazione, sezione II, 16 febbraio 2007, n. 3701 che si è limitata[4] a concludere che “Infatti alle sanzioni, come nella specie stradali, si applica l’art. 203 C.d.S., comma 3, che, in deroga alla L. n. 689 del 1981, art. 27, in caso di ritardo nel pagamento della sanzione irrogata nell’ordinanza-ingiunzione, prevede, l’iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale e non anche degli aumenti semestrali del 10%. Aumenti, pertanto, correttamente ritenuti non applicabili dal G.d.P., peraltro con motivazione errata, che va quindi corretta in conformità all’enunciato principio. Al rigetto del ricorso, segue la condanna alle spese”.

Prima osservazione: se effettivamente l’articolo 203, comma 3, avesse disposto “in deroga alla L. n. 689 del 1981, art. 27,”, come si legge nella sentenza, pare logico che il legislatore lo avrebbe scritto nello stesso comma, così come ha scritto che “Qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui all’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento”, oppure, horresco dicens[5], il supremo Collegio potrebbe aver confuso l’articolo 17, con l’articolo 27 (sic!). In ogni caso appare evidente che l’articolo 203, comma 3, non prevede alcuna deroga all’articolo 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, mentre invece deroga all’articolo 17 della medesima legge, per cui, ricordando che ubi lex voluit dixit, ubi noluit, tacuit, non si comprende il senso di una deroga mai prevista dal legislatore e disegnata ad hoc nella sentenza.

Seconda osservazione: sappiamo, ma lo vogliamo ricordare, che nel codice della strada sono fissate le sanzioni per le singole violazioni in una forbice edittale, costituita da un minimo e un massimo. Di norma è ammesso il pagamento del minimo edittale e tale facoltà, da esercitarsi nel termine di sessanta giorni dalla notifica o dalla contestazione del verbale, rappresenta un beneficio di legge posto con uno specifico scopo deflattivo del contenzioso. Infatti, si è sostenuto che la misura della sanzione, escluso il beneficio in parola, sia la metà del massimo edittale (che all’origine del codice corrispondeva al doppio del minimo) e, infatti, non è un caso che il prefetto, nel rigettare il ricorso sia ancorato al doppio del minimo come importo della sanzione da irrogare con l’ordinanza ingiunzione di pagamento. Quindi, l’articolo 203, comma 3, non determina l’applicazione di una maggiorazione (che poi sarebbe del 100%), ma l’applicazione della sanzione effettiva, una volta trascorso il termine per avvalersi del beneficio del pagamento del minimo edittale.

Terza osservazione: l’articolo 203, comma 3, si limita alla fase immediatamente successiva, istantanea direi, al decorso del termine per avvalersi del pagamento in misura ridotta e stabilisce la somma dovuta nel momento stesso in cui il verbale si trasforma in titolo esecutivo ed è pronto, in quanto determina solo allora un credito certo, liquido ed esigibile, per essere avviato alla riscossione coattiva disciplinata dal successivo articolo 206. Niente dispone per la riscossione di tale credito, per cui, senza l’articolo 206 il titolo esecutivo rimarrebbe privo di efficacia, salva l’ipotesi di un pagamento spontaneo della somma pari alla metà del massimo edittale, oltre alle spese e, infatti, il debitore ben potrebbe pagare il sessantunesimo giorno successivo alla contestazione o notificazione del verbale una somma pari alla metà del massimo edittale, oltre alle eventuali spese, senza essere tenuto al pagamento delle maggiorazioni che possono essere applicate solo nella fase di esecuzione, regolata dall’articolo 206 del codice della strada, con richiamo all’articolo 27 della legge del 1981.

Quarta osservazione: ma se le maggiorazioni non si applicano alla riscossione del verbale, ma solo alla riscossione delle ordinanze, come pare sostenere anche il Giudice di pace di Taranto, allora non si comprenderebbe il senso dell’articolo 206 nella parte in cui richiama il caso in cui non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta[6], la cui conseguenza non è certo l’emissione di un’ordinanza, ma l’automatica trasformazione del verbale in titolo esecutivo. Cioè, se il pagamento non è avvenuto nei termini dell’articolo 202 e, quindi, aggiungo, se il verbale è divenuto titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo edittale, oltre eventuali spese, “la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria è regolata dall’art. 27 della stessa legge 24 novembre 1981, n. 689”. E quale è mai la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria quando il pagamento non è avvenuto nei termini dell’articolo 202? Ma forse, come osserva il Giudice di pace di Taranto, sono caduto in un equivoco!

Il Giudice di pace di Taranto ha ritenuto, infatti, che “Invero,  tale maggiorazione non é dovuta poiché la suindicata previsione normativa che la parte opposta ha ritenuto di poter applicare al caso di specie e approfonditamente sostenuta nelle proprie note difensive, prevede una fattispecie diversa: essa infatti riguarda l’ipotesi in cui sia stata emessa una ordinanza e/o sentenza” e invece, semmai, il dubbio è proprio rappresentato dal caso in cui sia stata emessa una sentenza, ove si ritenga che questa rappresenti il titolo esecutivo, dato che l’articolo 206, precedente all’articolo 204-bis, non richiama la norma che regola(va) il ricorso giurisdizionale al verbale, ma certo non vi può essere dubbio che l’articolo 206 riguarda proprio il caso in cui non è avvenuto il pagamento in misura ridotta e si sono per questo determinati gli effetti descritti dall’articolo 203, comma 3.  Anche nella sentenza si evidenzia un certo “malanimo” verso la maggiorazione, ritenuta “esosa”, senza però tenere conto che l’esosità della maggiorazione non è tanto in sé, ma è posta in relazione all’inerzia del creditore che ben si può liberare in ogni momento del debito, evitando l’applicazione di quella che i Giudici della consulta hanno definito una sanzione per ritardato pagamento che, sarà pure esosa, ma è prevista dal diritto positivo.

Nella sentenza si legge poi che “II legislatore ha, pertanto, deciso di differenziare la fattispecie della ordinanza-ingiunzione prefettizia per i verbali impugnati, per la quale è senz’altro applicabile anche la maggiorazione ex art. 27 comma 6 della Legge 24/11/1981 n. 689, dalla fattispecie del mancato pagamento in misura ridotta del verbale di accertamento, per la quale la sanzione prevista è soltanto quella stabilita dall’art. 203 comma 3 c.d.s. (pagamento della metà del massimo edittale più le spese) e non anche la maggiorazione ex art. 27 comma 6 della Legge 24/II/1951 n. 689, che dovrebbe applicarsi quale sanzione aggiuntiva nell’ipotesi di ulteriore resistenza del trasgressore e/o di mancato pagamento a seguito dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione da parte del Prefetto e/o del provvedimento di condanna del Giudice adito” e, in verità, per quanto ampiamente detto, non si capisce dove si legga questa differenziazione e, certo, non si trova nell’articolo 203, comma 3, che riguarda la fase precedente alla riscossione, cioè quella della formazione del titolo esecutivo nel particolare procedimento del codice della strada.

Per chi non avesse compreso, come chi scrive, il Giudice che mi ha inviato la sentenza[7] conclude così: “Riassumendo, l’art. 203 comma 3 c.d.s., in deroga alla disciplina prevista dall’art. 17 della Legge 689/81 che prevedeva l’emissione di una ordinanza-ingiunzione, ha conferito al verbale valore di titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo edittale e per le spese, quindi contenente già una sanzione automatica aggiuntiva per il mancato pagamento ridotto (ed è qui che sta l’errore, in quanto non si tratta certo di una sanzione aggiuntiva, ma della sanzione prevista per la violazione il trasgressore non si avvale del pagamento in misura ridotta, N.d.A.), senza fare alcun riferimento alla maggiorazione ex art. 27 comma 6 della Legge 689/81 (perché, forse ne è fatta menzione nell’articolo 204? Né avrebbe avuto senso farne menzione in un articolo che non disciplina la riscossione coattiva N.d.A.).

A tali considerazioni si aggiunga che con l’entrata in vigore del nuovo codice della strada, ben successiva alla entrata in vigore della L. 689/81, se il legislatore avesse ritenuto di estendere la applicabilità della maggiorazione per ritardato pagamento prevista dall’art. 27 comma 6 della L. 689/81 anche ai verbali di accertamento, lo avrebbe esplicitato nella formulazione dell’art. 203 c.d.s. nel quale invece non è fatta menzione alcuna della irrogabilità di tale maggiorazione (come detto in chiosa al periodo precedente, non ne ha fatto menzione neanche nell’articolo 204, atteso il fatto che entrambi gli articoli non riguardano la riscossione coattiva del titolo esecutivo, verbale od ordinanza. Nd.A.).

Qualora poi l’Autorità opposta volesse far discendere dalla disposizione di cui all’art. 206 c.d.s. l’applicabilità anche ai verbali della suddetta maggiorazione, tale interpretazione non avrebbe ragione d’essere in quanto l’art. 27 della Legge 689/81, richiamato dall’art. 206 c.d.s., si riferisce chiaramente ed unicamente al mancato pagamento nei termini di una somma intimata con ordinanza-ingiunzione e non certo con la notifica di un verbale di accertamento di violazione (e qui sta proprio il vulnus conclusivo di tutto il ragionamento, in quanto non è vero che l’articolo 206 riguarda unicamente il mancato pagamento dell’ordinanza emessa ai sensi dell’articolo 204, perché basta leggere prima, dove è chiaramente scritto che riguarda anche l’omesso pagamento del verbale nei termini previsti dall’articolo 202, caso in cui si determina l’effetto previsto dall’articolo 203, comma 3. N.d.A).

Prosegue la sentenza chiamando in causa lo scrivente che sulla questione aveva già scritto nel 2012 e anche prima, spiegando così l’equivoco in cui sarei caduto (almeno si riconoscerà che sono in buona compagnia[8]). Così il giudice scrive che “l’equivoco in cui é caduta l’Amministrazione opposta e quegli autori che sostengono con  approfondimenti  specifici ( G. Carmagnini  – www.vigilaresullastrada.it 4/4/2012- Editrice Maggioli) tale tesi, sorge dal fatto che si sia ritenuto che i verbali di accertamento di violazione possano essere del tutto equiparati all’ordinanza-ingiunzione prefettizia. Ebbene così non é, si tratta infatti di atti ben distinti in quanto il verbale rappresenta soltanto l’accertamento di una violazione di una norma ed è elevato da un soggetto privo del potere di imporre il pagamento di qualsivoglia maggiorazione, potere che è infatti prerogativa di un organo della Autorità Pubblica quale è il Prefetto, mentre l’ordinanza-ingiunzione consiste per l’appunto in un provvedimento emanato da una Autorità Pubblica (nella fattispecie il Prefetto).” Ora, al di là del secondario aspetto che i ruoli per le violazioni i cui proventi spettano all’amministrazione da cui dipende la Polizia Locale, anche a seguito di ordinanze del prefetto, sono emessi non dalla Prefettura, ma dal Comune o dalla Provincia, per cui sono tali amministrazioni che applicano le maggiorazioni anche in fase di riscossione dei proventi determinati con le ordinanze dell’articolo 204 del codice della strada, è proprio lo stesso codice che ha disposto l’applicazione delle maggiorazioni nella fase di riscossione coattiva di quei verbali (e non certo solo delle ordinanze, che non sono disciplinate dall’articolo 202 del codice della strada) per i quali non è stato effettuato il pagamento in misura ridotta.

E poi prosegue ancora e in questo caso devo dire che proprio non ho compreso, per mia ignoranza, la parte della sentenza in cui cita, a maggior sostegno, la pronuncia della Cassazione e conclude “Ma vi è anche un altro importante motivo a sostegno della tesi della illegittimità della applicazione ai verbali della maggiorazione prevista dall’art. 27 comma 6 della Legge 24/11/1981 n. 689: la contestazione dell’infrazione, se non effettuata immediatamente al trasgressore, viene eseguita a mezzo notificazione del verbale, nel quale viene recata l’indicazione soltanto dell’importo della somma ridotta non anche della somma dovuta in caso di mancato pagamento nei termini della sanzione ridotta, né tanto meno della maggiorazione ex art. 27 comma 6 della Legge 24/11/1981 n. 689 ( cfr. Cassazione n. 3701 del 16.02.2007 sulla non debenza della maggiorazione ex art. 27 della legge n. 689/81).  Diverso invece è il caso della ordinanza-ingiunzione emanata dal Prefetto a seguito di ricorso: questa infatti indica esattamente sia l’ammontare effettivo della sanzione da pagare che il termine entro cui pagarla, dunque in tal caso la maggiorazione è facilmente calcolabile ed applicabile.” Cosa dovremmo riportare nel verbale, se, ai sensi degli articoli 383 e 385 del regolamento, deve essere riportata unicamente la somma per la quale è ammesso il pagamento in misura ridotta e non anche la somma dell’articolo 203, comma 3 e, tantomeno, il richiamo al procedimento di riscossione coattiva. Ma poi, forse nell’ordinanza ingiunzione è riportato che in caso di mancato pagamento si procederà a riscossione coattiva di tale somma ingiunta, ai sensi dell’articolo 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, con le eventuali maggiorazioni semestrali del 10%? A me non risulta, né tanto è richiesto, al pari dei verbali, da alcuna norma di diritto positivo.

E quindi per il giudice “Non si capisce quindi come dalla notifica di un verbale che non contiene l’indicazione della effettiva somma che dovrà essere iscritta a ruolo (peraltro già sanzionato, in caso di mancato pagamento in misura ridotta,  con il raddoppiamento della sanzione previsto dall’art. 203 comma 3 CDS ) si possa addivenire alla applicazione di una maggiorazione pari al 20 % annua, avendosi nel caso di specie a seguito dei cinque anni trascorsi dal giorno del verbale, il raddoppio della somma già raddoppiata”, ma anche in tal caso vale la pena di ricordare che la somma che dovrà essere iscritta a ruolo è stabilita dalla legge e non è richiesto che sia riportata sul verbale, per cui non valgono i desiderata, ma ciò che prevede il regolamento del codice della strada. Nemmeno si comprende il motivo di tanta meraviglia se la sanzione, a seguito dei cinque anni trascorsi, abbia subito il raddoppio (quello dell’articolo 203, comma 3, in sostanza) e poi sia raddoppiata per l’applicazione di 5 anni di maggiorazioni al 20% (cioè del 100%), tenuto conto che in tal caso, guarda strano, anche andando a riscossione al termine della prescrizione si giungerebbe a una sanzione definitiva pari a circa il massimo (quindi, circa quattro volte il minimo edittale). D’altronde la stessa cifra si raggiunge con la riscossione di un’ordinanza ingiunzione che abbia determinato la sanzione in una somma pari al minimo edittale e sia stata richiesta con cartella di pagamento al quinto anno dalla data in cui provvedimento ingiuntivo è divenuto titolo esecutivo(anche in questo caso il minimo edittale risulterebbe quadruplicato), senza contare i ben più gravi effetti dell’ordinanza che ben potrebbe già da subito applicare la sanzione nel massimo edittale e determinare nei cinque anni successivi un credito pari al raddoppio della somma massima (e in tal caso il minimo edittale risulterebbe aumentato di ben otto volte).

Quindi, da qualsiasi prospettiva si legge il compendio di norme che disciplinano la riscossione coattiva dei verbali del codice della strada e anche se le maggiorazioni non piacciono, a me pare che l’Avvocatura non abbia fatto altro che leggere la sentenza e adeguarvisi e il Giudice di pace, in un pur nobile tentativo di combattere l’esoso balzello, non abbia colto nel segno.

[1] Ma chissà come mai piace così tanto solo questa sentenza, quando poi abbiamo anche la medesima sezione che dopo appena 8 mesi pare non battere ciglio sulle maggiorazioni applicate alla riscossione coattiva del verbale , ma nessuno la richiama (Corte di Cassazione Civile sez.II 22/10/2007 n. 22100).

[2] L’Avvocatura, richiamando la massima della sentenza si limita a concludere che “Allo stato non vi sono motivi per non dare corso a quanto stabilito dalla Cassazione”, dimenticando che i motivi si possono trovare nella corretta lettura delle norme, come peraltro correttamente interpretate da altre sentenze e nella necessità di evitare un danno contabile.

[3] 3. L’ordinanza-ingiunzione, trascorso il termine per il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria, costituisce titolo esecutivo per l’ammontare della somma ingiunta e delle relative spese.

[4] Tanto è laconica che pare la massima di sé stessa, dato che nella sentenza non si legge altro.

[5] E non voglio nemmeno crederlo o pensare di poterlo credere, ahimè.

[6] Dispone l’articolo 206 che “se il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204, salvo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria è regolata dall’art. 27 della stessa legge 24 novembre 1981, n. 689”.

[7] E di ciò lo ringrazio, perché è proprio dalla discussione che nascono gli approfondimenti e questi, lungi dal voler convincere qualcuno, sono un momento di confronto dal quale ognuno può trarre le proprie conclusioni. Come sarebbe grama la vita se tutti si fosse d’accordo su tutto!

[8] M. Ancillotti (www.vigilaresullastrada.it 10/4/2012) – Maggiorazioni e riscossioni coattive delle sanzioni per violazioni del Codice della Strada tra ruolo ed ingiunzione fiscale

  1. Maini (Polnews 21/11/2012) – Sanzioni amministrative da violazioni del Codice della Strada e riscossione coattiva: ancòra sulla questione delle maggiorazioni

 

SULLA SOMMA DA PAGARE DOPO IL RIGETTO DEL RICORSO AL GIUDICE DI PACE.

Va detto che la norma che regola il contenzioso nella particolare materia del codice della strada era contenuta nell’articolo 204-bis, dove era disposto che il giudice, in caso di rigetto del ricorso, nella determinazione dell’importo della sanzione dovesse assegnare all’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, con sentenza immediatamente eseguibile, la somma determinata, autorizzandone il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in caso di sua capienza.

Inoltre, al comma 6, sempre con riferimento alla cauzione, precisava che la sentenza di rigetto costituiva titolo esecutivo per la riscossione coattiva delle somme inflitte dal giudice di pace, ma solo di quelle che avessero superato l’importo della cauzione versata dal ricorrente all’atto del deposito del ricorso. Mutatis mutandis, con la dichiarazione di incostituzionalità della disposizione che subordinava l’ammissibilità del ricorso (rectius, la ricevibilità) in caso di omessa prestazione della cauzione, l’intero comma 6 dell’articolo 204-bis è stato di fatto disapplicato e comunque avrebbe statuito solo per la somma eccedente la cauzione.

In sostanza nulla è mutato con la riforma operata dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, salvo ricondurre il dettato normativo ai parametri costituzionali relativi alla censura relativa alla cauzione.

Appare quindi evidente che la lettura dei commi 5 e 6 dell’articolo 204-bis conforta l’interpretazione secondo la quale la sentenza era titolo esecutivo solo per la riscossione delle somme eccedenti la cauzione, poiché altrimenti alcun senso avrebbe avuto il comma 6, se la sentenza di rigetto avesse costituito sempre e comunque il titolo esecutivo per portare a compimento la pretesa sanzionatoria della pubblica amministrazione. Diversamente, il legislatore avrebbe omesso il comma 6, del tutto pleonastico altrimenti, ovvero avrebbe inserito la congiunzione “anche” tra le parole “esecutivo” e “per la riscossione”, formulando così il comma 6: “La sentenza con cui viene rigettato il ricorso costituisce titolo esecutivo ANCHE per la riscossione coatta delle somme inflitte dal giudice  di pace che superino l’importo della cauzione prestata all’atto del deposito del ricorso”.

Nulla aggiunge il comma 7 dell’articolo 204-bis, dato che la disposizione in parola si limita a ricordare ai giudici che in caso di rigetto del ricorso non è possibile determinare una sanzione al di sotto del minimo edittale previsto dalla norma violata, dato che in passato qualcuno aveva erroneamente interpretato il potere del giudice nella determinazione della sanzione con riferimento ai minimi edittali generali indicati nell’articolo 195 del codice della strada o, addirittura, nell’articolo 10 della legge 689/81.

Significativo pare invece il comma 8 dell’articolo 204-bis, anche questo invariato dopo le modifiche apportate dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, tanto da essere riproposta nell’articolo 7 del dlgs 150/11. Questa disposizione, di natura monitoria, rammenta al giudice che in caso di rigetto del ricorso non può escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie o della decurtazione dei punti. Ricordando che il verbale è titolo per l’applicazione delle sanzioni accessorie (vedi articoli 211 e 212) e che deve contenere l’annotazione della decurtazione del punteggio ai fini della legittimità del procedimento previsto dall’articolo 126-bis, pare evidente che anche per tali sanzioni o provvedimenti amministrativi, in caso di rigetto del ricorso, non potendo il giudice statuire diversamente, il verbale rimane titolo per l’esecuzione delle sanzioni e dei provvedimenti accessori e non anche la sentenza.

Nel merito della questione, va ricordato che il giudice ha vasti poteri nel giudizio speciale regolato dall’articolo 204-bis e dalla legge 689/81 e proprio per questo il legislatore nel 2003 ha precisato, onde sgombrare il campo da qualsiasi dubbio, che il giudice “determina” la sanzione e, addirittura possa “infliggere” delle somme superiori a quelle che prima erano previste dalla cauzione, che, non sarà un caso, era pari alla metà del massimo edittale, cioè alla somma prevista con la trasformazione del verbale in titolo esecutivo.

La materia è stata più volte affrontata in dottrina e anche dalla giustizia di merito e di legittimità, con isolate pronunce a testimonianza che, di fronte ad una diffusa applicazione secondo dottrina prevalente, la materia non ha avuto particolari acuti nel contenzioso.

Ove il giudice non indichi la misura della sanzione e si limiti alla convalida o alla conferma del provvedimento opposto, con il rigetto del gravemente, occorre procedere in via interpretativa, dato che l’articolo 204-bis si limitava a precisare che la sentenza è titolo esecutivo solo nel caso in cui il giudice abbia disposto la sanzione in misura eccedente la cauzione.

Ora, se il giudice avesse determinato la sanzione, non vi sarebbero dubbi che il quantum sarebbe stato quello messo a sentenza. Diversamente, la questione è più complessa, ma non per questo non chiara.

Mentre il prefetto è tenuto per legge a non scendere al di sotto del doppio del minimo, il giudice di pace può anche rideterminare la sanzione nei margini edittali, anche sospendendo l’esecuzione dei provvedimenti impugnati (o meglio, come dispone la norma, la loro esecuzione), ovvero, confermando il verbale impugnato può lasciare intatto l’iter sanzionatorio, interrotto ex lege solo per quanto riguarda la decurtazione dei punti, che può andare a compimento solo con la “definizione della contestazione” e cioè quando il verbale diventa inoppugnabile.

Detto questo la Cassazione opera alcune distinzioni e, in particolare, afferma che l’autore dell’infrazione ha diritto di pagare in misura ridotta entro il termine di sessanta giorni e se paga si producono l’estinzione dell’obbligazione e la preclusione dell’ulteriore corso del procedimento sanzionatorio (salvo l’applicazione delle eventuali sanzioni non pecuniarie); se invece non paga decade dal diritto e la decadenza può essere fatta valere anche d’ufficio in Cassazione; se invece propone ricorso, vengono meno le ragioni del pagamento in misura ridotta e l’autore dell’illecito non può più avvalersi del relativo beneficio, siano o meno decorsi i termini; se proposto ricorso, paghi ugualmente in misura ridotta, il pagamento rimane privo di effetti anche sul piano processuale e quindi all’esito del giudizio se il pagamento è stato effettuato in misura inferiore rispetto al dovuto comporta, l’obbligato sarà costretto a norma dell’art. 389 reg. esec. del codice della strada ad integrarlo ai fini dell’estinzione dell’obbligazione.

Per quanto riguarda i termini, si distingue il caso in cui sia o non sia stata disposta la sospensione da parte del Giudice di pace procedente.

Occorre comunque coniugare le tesi fin qui sostenute con il disposto del nuovo art. 204-bis. c. 6 c.d.s.. epurando tale disposizione dal riferimento alla cauzione per la nota dichiarazione di incostituzionalità. Infatti se il Giudice si limita a confermare il provvedimento impugnato è questo che viene portato ad esecuzione e ciò senza soluzione di continuità rispetto all’iter ordinario del verbale non impugnato, senza trascurare che in ipotesi, secondo uno degli orientamenti prospettati, salvo sospensione potrebbe già esserlo stato nelle more della decisione.

Qualora invece il Giudice, a norma dell’art. 195 c.2 c.d.s. ovvero art. 11 L. 689/81 dovesse rideterminare la sanzione, ovvero in altre ipotesi in cui la decisione, pur rigettando il ricorso, non sia completamente aderente al provvedimento sanzionatorio, allora e solo allora si può sostenere che la sentenza assuma una propria “autonomia” e pertanto l’esecuzione non possa prescindere dalla stessa.

La sentenza che rigetta l’opposizione e conferma il verbale, assorbe l’eventuale ordinanza di sospensione dell’esecuzione, facendola venire meno ipso facto e, a norma dell’art. 282 c.p.c. è provvisoriamente esecutiva tra le parti. Quindi, sulla base del principio della giurisprudenza sopra richiamata, le somme previste dal verbale, nell’importo prima detto, nonché le spese di procedimento possono essere riscosse con le modalità di cui all’art. 27 L. n. 689/81, ovvero, come avviene in alcuni comuni, con la cosiddetta ingiunzione fiscale ai sensi del R.D. 14 aprile 1910 n. 639 senza dover necessariamente attendere che la sentenza passi in giudicato.

In definitiva poiché la sentenza del Giudice, a norma dell’art. 282 c.p.c., è provvisoriamente esecutiva non occorre attendere che passi in giudicato per procedere all’azione esecutiva in caso di mancata ottemperanza al pagamento delle somme dovute.

Nel caso di conferma del verbale impugnato con la decisione del Giudice che si limita alla conferma del verbale, si ritiene che già la lettura del dispositivo consenta di inserire nel ruolo per la riscossione le somme dovute, tenuto conto che la lettura del dispositivo comporta l’immutabilità della decisione rispetto alla successiva stesura della motivazione (Sez Un. n.1457/1992), anche se è ragionevole attendere quantomeno la comunicazione scritta del dispositivo; mentre nel caso debba essere portata ad esecuzione la sentenza occorre naturalmente aspettare la pubblicazione in quanto per valere come titolo per l’esecuzione forzata deve essere munita della formula esecutiva a norma dell’art. 475 c.p.c.

Il principio trova un ulteriore fondamento nell’equiparazione tra i due ricorsi ammessi direttamente avverso il verbale, quello giurisdizionale e quello amministrativo. In pratica, come più volte affermato, il pagamento in misura ridotta è un beneficio di legge a fronte di una sanzione che in realtà, in deroga anche alla l. n. 689/81, è pari alla metà del massimo e per questo il verbale diventa titolo esecutivo per tale somma, decorso il termine per l’impugnazione o per il pagamento in misura ridotta che, si ripete, non è la misura della sanzione, ma bensì un beneficio in funzione deflativa del contenzioso e quindi non avrebbe senso consentirlo a seguito della presentazione del ricorso, salvo sia il giudice a disporlo, laddove tale intento deflativo non esiste più e il ricorrente si è affidato al sindacato dell’autorità preposta a giudicare la legittimità della pretesa sanzionatoria della p.a..

Quanto sopra sostenuto non appare oggi superato dalle nuove disposizioni licenziate con il dlgs 150/11, che in gran parte hanno ricalcato quanto già previsto dall’articolo 204-bis del codice della strada.

Ma, al di là della ricostruzione proposta, che potrebbe rimanere relegate nel novero delle interpretazioni di una delle parti in causa, conviene richiamare ben più autorevoli conclusioni.

In tema di misura della sanzione da pagare in caso di mancato accoglimento del ricorso al Giudice di pace si è espresso anche l’Ufficio Studi per l’Amministrazione Generale e per gli Affari Legislativi del Ministero dell’Interno con la circolare M/2413/13 del 21 maggio 1998, che qui di seguito si riporta integralmente, condividendone il principio e ricordando come gli organi di polizia stradale, e quindi anche la Polizia Locale, sono soggetti alle direttive del Ministero dell’interno, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, del codice della strada:

“ (…) E’ stato chiesto di conoscere l’avviso della scrivente sulla misura della sanzione concretamente determinabile dal giudice in sede di rigetto della opposizione (…). Al riguardo, occorre, in via preliminare, distinguere concettualmente la ipotesi in cui il giudice investito, con opposizione, della cognizione degli atti di accertamento determini la misura della sanzione per effetto del rigetto della istanza del privato da quella in cui lo stesso giudice non la determini affatto. In ordine al primo aspetto, (…) il giudice delle leggi ha fondato la propria interpretazione sul criterio normativo di cui all’articolo 195 del Codice della strada, che autorizza il giudice a variare la misura concreta della sanzione pecuniaria tra un limite minimo e un limite massimo edittale. Tutto ciò premesso, questo Ufficio ritiene che analogo criterio sia applicabile nel caso di sentenza pronunciata dal giudice sulla opposizione al verbale di accertamento.(…) Quanto invece al secondo aspetto problematico evidenziato, riguardante il rigetto della opposizione senza alcuna determinazione della sanzione applicabile, pare evidente che, mentre a norma dell’articolo 23, c. 11, della legge n. 689/1981, il rigetto della opposizione alla ordinanza comporta null’altro che la conferma della sanzione applicata dall’autorità amministrativa, lo stesso non può dirsi quando venga rigettata l’opposizione al verbale, atteso che il verbale non costituisce – a rigore – provvedimento sanzionatorio al quale applicare la regola contenuta nella suddetta disposizione.

Se, dunque, il giudice deve limitarsi a rigettare l’opposizione in caso di sua infondatezza, la determinazione quantitativa della sanzione applicabile non può che restare rimessa alle regole che la disciplinano in relazione al verificarsi dei presupposti per la acquisizione – da parte del verbale – della forza di titolo esecutivo. In particolare, appare applicabile l’articolo 203, comma 3, del C.d.s., stante che, nella fattispecie, non è stato presentato ricorso al Prefetto ex articolo 204 ne è avvenuto il pagamento in misura ridotta. Conseguentemente, nel caso di versamento del minimo edittale da parte del trasgressore, a giudizio di questo Ufficio, è applicabile il comma 2 dell’articolo 389 del regolamento di esecuzione del Codice, in forza del quale la somma versata è tenuta in acconto e la somma da iscrivere a ruolo è pari alla differenza tra quella dovuta e l’acconto versato

 

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Riassumendo i vari punti della questione, possiamo dire che l’intento con cui è stata ammessa la facoltà del pagamento in misura ridotta, al pari di simili istituti previsti in altri ambiti processuali, è quello deflativo del procedimento contenzioso; tale finalità verrebbe completamente frustrata dall’ipotesi di “sospensiva automatica”, conseguente alla mera presentazione del ricorso giurisdizionale o della sospensione sine die, in caso di rigetto del ricorso dopo la sospensione disposta dal giudice e la successiva conferma del verbale. Se da un lato è vero che in pendenza del giudizio amministrativo viene sospesa la messa a ruolo, giusta lettura del comma 3 dell’articolo 203 del Codice della strada, è altresì vero che questo provvisorio “congelamento” viene recuperato dalla successiva emissione dell’ordinanza ingiunzione per il pagamento di una somma non inferiore al doppio del minimo edittale, in caso di rigetto del ricorso. Non pare quindi possa esservi violazione del dettato costituzionale, potendo il giudice comunque ordinare la sospensione del provvedimento, ovvero determinare la somma da pagare anche riconducendola al minimo edittale e cioè al quantum previsto per il pagamento in misura ridotta. Accedendo all’ipotesi contraria, pare invece vi possa essere sì una diversità di trattamento del ricorrente che, proposto il ricorso amministrativo e ottenutone il rigetto, si vedrebbe sempre e comunque applicata una sanzione pari almeno al doppio del minimo, rispetto a chi, adìto il Giudice di pace, anche in assenza di una sospensiva (e tempestivo pagamento in caso di rigetto del ricorso) o di una rideterminazione della sanzione, nel caso venga respinto il ricorso, potrebbe godere ancora del pagamento della cifra minima sine die.

Sempre in merito alla questione di legittimità costituzionale, i Giudici delle leggi si sono espressi con l’ordinanza 350/94, nel senso che il beneficio del pagamento in misura ridotta “è offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali; che sarebbe perciò in contrasto con tale finalità consentire al contravventore di potersi ancora avvalere del beneficio in parola, nell’ipotesi in cui attivi in sede amministrativa o giudiziaria un rimedio contenzioso; in relazione alla perdita del beneficio stesso, non appare violato l’art. 24 della Costituzione, perchè, diversamente da quanto si sostiene nell’ordinanza di rinvio, da un lato non si è in presenza di un’ipotesi di solve et repete, che si avrebbe solo se la facoltà di esperire i rimedi avverso il provvedimento sanzionatorio fosse condizionata dal previo pagamento della somma e, dall’altro, l’art. 22, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981, richiamato dall’art. 205, comma 3, del nuovo codice della strada, prevede espressamente, qualora venga proposta opposizione, il potere del Pretore di sospendere il pagamento, ricorrendone le condizioni; che non appare neppure violato l’art. 3 della Costituzione perchè, proprio in ragione delle finalità deflattive perseguite dall’istituto del pagamento in misura ridotta, la situazione di chi non si avvale del rimedio del gravame per lucrare il beneficio è diversa da quella di chi si avvale del rimedio, tenuto comunque anche conto che, come già sottolineato da questa Corte (ordinanza n. 67 del 1994), il giudice, nel respingere l’opposizione, non è vincolato ad alcun limite per la determinazione della misura della sanzione da irrogare, ben potendo determinarla, nella sua discrezionalità ed ove ne ricorrano le condizioni, nel minimo previsto, cioé nella misura corrispondente a quella “ridotta” di cui all’art. 202 del nuovo codice della strada”.

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Si segnala che tali principi sono altresì sorretti dalla sentenza del Giudice di Pace di Bari n. 1318 del 19 febbraio 2009 che, in subiecta materia ha avuto modo di sostenere che “… che la sentenza emessa per il caso in questione, nel rigettare il ricorso proposto dall’interessato, “conferma il verbale di accertamento n. …/2005/A emesso in data 21.3.2005 dalla Polizia Municipale di Bari”, verbale che riprende il suo originario vigore così come notificato all’interessato. La previsione contenuta nel comma 6 dell’articolo citato va interpretata alla luce del successivo comma 7 che attribuisce al giudice di pace la possibilità di determinare diversamente da quanto fatto dalla Polizia Municipale, la misura della sanzione, ferma restando l’impossibilità di scendere al di sotto del minimo edittale. E’ evidente in tali casi che la sentenza contenente una diversa quantificazione della sanzione rispetto a quella stabilita nel verbale, sostituisce questo ultimo e diventa il titolo esecutivo da iscrivere a ruolo. Non essendosi verificata tale evenienza nel caso in discussione, avendo il giudice confermato in toto il verbale contenente la specificazione delle somme dovute, l’opposizione appare infondata e viene rigettata.”

 

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Inoltre, a fornire di maggiore fondatezza la tesi del Giudice di merito, si segnala la sentenza 29 ottobre 1999, n. 12193, della sezione III della Cassazione civile, che sempre per la questione che ci occupa ha ribadito che “L’opposizione davanti all’autorità giudiziaria del processo verbale di accertamento di violazione alle norme del codice della strada – ammissibile secondo le pronunce della Corte costituzionale n. 255-1994 e n. 437-1995 – si inquadra nella generale figura dell’opposizione disciplinata dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689-1981 Consegue che, nel caso in cui l’opposizione sia respinta, acquista carattere definitivo il processo verbale impugnato, che assume quindi la qualità di titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 203, comma 3, c.s.

Si verifica, cioè, una situazione analoga a quella prevista dall’art. 653 c.p.c. in tema di opposizione a decreto ingiuntivo: nel caso in cui l’opposizione sia rigettata, acquista efficacia esecutiva il decreto opposto.

A tale principio non si è attenuto il pretore, che ha invece considerato come titolo esecutivo la pronuncia di rigetto dell’opposizione, e pertanto la sentenza va cassata con rinvio”.

 

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Ulteriori argomenti, seppure in via incidentale, si ricavano dalla più recente sentenza della sezione II civile, 28 gennaio 2010, n. 1942, nella parte in cui si condivide che “che infondatamente l’opponente negava l’efficacia esecutiva del provvedimento sanzionatorio, il quale aveva la natura esecutiva sancita dalla L. n. 689 del 1981, art. 18, ed era stato confermato dalla sentenza del giudice di pace, la quale aveva travolto il provvedimento di sospensione temporaneamente adottato dal giudicante.”

In pratica il provvedimento sanzionatorio era stato impugnato e, previa sospensione interlocutoria all’esito del ricorso, sulla base del rigetto iscritto a ruolo. Si opponeva il ricorrente alla cartella.

La Cassazione ha ritenuto che “La concessione di tale sospensione è però condizionata dall’esito del giudizio di primo grado: l’accoglimento dell’opposizione annulla il provvedimento sanzionatorio e ne esclude ogni esecuzione. Il rigetto comporta che la sospensione interinalmente disposta viene travolta, ditalchè viene meno ogni ostacolo alla esecuzione dell’atto amministrativo, confermato dal giudizio di merito (cfr. per analogo meccanismo con riferimento alla sospensione del decreto ingiuntivo, Cass 905/05; Cass 20925/08). Il ricorso per cassazione o comunque il gravame proposto avverso la sentenza di rigetto dell’opposizione non vale infatti a togliere il valore di titolo esecutivo al provvedimento amministrativo, che ne è dotato, come si è visto, per forza di legge e che non trova più ostacolo in un valido provvedimento giurisdizionale”.

Ciò a significare che anche dopo la sospensione del provvedimento opposto, il rigetto del ricorso determina la piena reviviscenza del provvedimento stesso, immutato dalla sentenza di rigetto e che pertanto è l’atto amministrativo a dover essere iscritto a ruolo e non anche la sentenza.