Apertura dello sportello di un veicolo e caduta a terra del ciclista – non importa che vi sia stato l’urto, ma è sufficiente che esista una turbativa della circolazione

Corte di Cassazione, sez. V Penale, 9 novembre 2016, n. 47094

4 Gennaio 2017
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Corte di Cassazione, sez. V Penale, 9 novembre 2016, n. 47094

  1.La Corte di appello di Firenze con la impugnata sentenza ha confermato la sentenza 24/10/2013 con la quale il Tribunale di Pistoia aveva condannato xx alla pena di un anno di reclusione, sostituita con due anni di libertà controllata, e alla sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per un anno, in relazione al reato di omicidio colposo, commesso in data 21/5/2009 ai danni di yy ed aggravato dalla violazione della normativa sulla circolazione stradale, per avere cagionato, mediante l’apertura improvvisa dello sportello della propria auto parcheggiata, la caduta dalla bicicletta della predetta yy (di 75 anni), con conseguenti lesioni personali alla medesima che ne cagionavano il decesso il successivo 10.7.2009.

 

2.Avverso la suddetta sentenza, tramite difensore di fiducia, propone ricorso l’imputato, deducendo violazione dell’art. 533 comma 1 c.p.p. nonché violazione degli artt. 589, 40 e 41 c.p..

2.1. Quanto alla pretesa violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, secondo il ricorrente, non sarebbe stata in alcun modo provata la violazione della norma cautelare contestata. Il ricorrente osserva che la Corte – dopo aver rilevato che nel caso in esame non vi erano emergenze istruttorie che consentivano una ricostruzione assolutamente certa delle modalità dell’incidente e, in particolare, dopo aver sottolineato, al fine di negare la possibilità di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, l’assenza di dati oggettivi – non avrebbe tuttavia valorizzato detta assenza nel valutare l’attendibilità della ricostruzione del consulente del PM, la cui ricostruzione non poteva dirsi corroborata da elementi esterni.

2.2. Quanto poi alla dedotta violazione degli artt. 589, 40 e 41 c.p., secondo il ricorrente, non sarebbe dimostrato che l’evento morte possa pacificamente ricollegarsi, sotto il profilo causale, al sinistro stradale, essendosi verificato, nella serie causale, un errore terapeutico da parte dei medici curanti, che aveva determinato l’exitus. Il ricorrente osserva che la Corte ha escluso l’interruzione del nesso causale a seguito dell’errore medico, rilevando che esso non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, ma a sostegno del proprio assunto avrebbe richiamato sentenze emesse da questa Corte in fattispecie non del tutto sovrapponibili. D’altronde la causa sopravvenuta di cui all’art. 41 comma 2 non si riferisce solo ad un processo causale del tutto autonomo ed imprevedibile, ma anche nel caso di un processo non completamente avulso dal precedente, ma caratterizzato da un percorso completamente atipico ed eccezionale.

 

Considerato in diritto

 

  1. II ricorso non è fondato.
  2. Non fondato è il profilo del ricorso concernente l’asserita violazione dell’art. 533 comma 1 c.p.p.

2.1. Al riguardo occorre in primo luogo ribadire il principio secondo cui la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (Sezione 4, 5 dicembre 2007, Proc. Rep. Trib. Forlì in proc. Benelli; nonché, Sezione 4, 12 dicembre 2008, Spinelli).

2.2. Orbene, nel caso di specie, il Tribunale di Pistoia ha ricostruito la dinamica dell’incidente stradale attraverso le consulenze disposte dal PM, le testimonianze rese dalle figlie della ciclista deceduta e di un negoziante che aveva soccorso la vittima caduta per terra, nonché attraverso le varie dichiarazioni rese dall’imputato durante le indagini preliminari. Sulla base delle suddette risultanze processuali il Tribunale di Pistoia ha ritenuto dimostrato che si fosse verificato un urto tra la bicicletta e l’auto; e che, d’altra parte, non erano credibili sul punto le dichiarazioni del B. che negavano tale urto, perché interessate e perché smentivano a posteriori la sua prima affermazione, contenuta nel CID da lui sottoscritto, circa il verificarsi di un contatto, sia pure lieve, tra il pedale della bicicletta e lo sportello della sua auto. Peraltro, in punto di urto, il Tribunale di Pistoia ha ritenuto condivisibili le conclusioni del consulente del PM, che aveva valutato anche l’ipotesi che non vi fosse stato alcun urto tra lo sportello e la bicicletta e che la donna fosse caduta a causa di una manovra di emergenza da lei eseguita per evitare di colpire lo sportello che il B. aveva aperto, perdendo così il controllo del suo velocipede: secondo il consulente, infatti, la donna, se si fosse trovata alla distanza indicata dallo stesso imputato quando questi aveva aperto lo sportello, pur viaggiando a velocità molto modesta, non avrebbe avuto un tempo sufficiente per evitare l’ostacolo in modo non pericoloso. Al contrario, ha respinto la tesi del consulente della difesa circa la impossibilità di un urto tra la bicicletta e lo sportello dell’auto dell’imputato, perché basata su elementi dei tutto ignoti quali il modello della bicicletta, la distanza tra la bici caduta e la macchina, la modalità con cui quest’ultima era parcheggiata. In definitiva, il giudice di primo grado ha ritenuto provato il nesso di causalità tra l’apertura dello sportello da parte del B. e la caduta della donna, per avere tale apertura costituito quanto meno una turbativa, e ha ritenuto quindi che l’imputato avesse cagionato il sinistro violando l’art. 157 c.7 dei codice della strada (che vieta l’apertura degli sportelli di un veicolo senza essersi prima assicurati che ciò non costituisca un pericolo o un intralcio per gli altri utenti della strada).

2.3. E la Corte di appello di Firenze, pur confermando la ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado, ha dato preliminarmente atto che le prove raccolte non consentivano una ricostruzione assolutamente certa e indiscutibile delle modalità dell’incidente (perché: ad esso non assistettero dei testimoni; non fu richiesto l’intervento dell’autorità e quindi non furono effettuati rilievi da parte della Polizia o dei Carabinieri, né sul posto né sui veicoli rimasti coinvolti; la persona offesa non era mai stata escussa a sommarie informazioni e l’imputato aveva fornito versioni molto diverse tra loro, così ostacolando e non certo facilitando tale ricostruzione), di talché risultava impraticabile o comunque inutile l’effettuazione di una perizia, proprio perché il perito non avrebbe potuto che fornire una ricostruzione ipotetica ovvero formulare conclusioni alternative, come già aveva fatto il consulente dei PM. Ciò non di meno, secondo la Corte territoriale, è risultato provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’incidente che aveva portato al decesso dell’anziana B. era connesso alla condotta tenuta dal B. ed era stato causato dall’apertura dello sportello dell’auto, dallo stesso effettuata in violazione dell’art. 157 c.7 codice della strada: la vittima, secondo quanto dichiarato dalle sue figlie, aveva sempre attribuito la sua caduta a tale movimento di apertura dello sportello; lo stesso imputato, nell’immediatezza del fatto, aveva ammesso tale collegamento dapprima scusandosi, in presenza del teste C., per avere aperto lo sportello, spiegando di non avere visto la bicicletta che arrivava (frase che egli non avrebbe avuto motivo di dire se la donna fosse caduta indipendentemente da tale suo gesto) e poi firmando una esplicita dichiarazione, riportata nel C.I.D. pervenuto il 27/5/2009 alla sua Compagnia Assicuratrice (la Liguria spa), in cui ammetteva che “ho aperto lo sportello … mentre lo stavo chiudendo perché mi era accorto della signora dallo specchietto mi ha sfiorato lo sportello con il pedale e è caduta a terra”; dalla relazione che il perito della predetta Compagnia Assicuratrice aveva inviato a quest’ultima emergeva che anche allo stesso il B. aveva dichiarato che la B. era caduta a terra “senza venire a contatto cori lo sportello … ma sfiorandolo soltanto con il pedale destro”. Secondo la Corte territoriale:

  1. a) il giudice di primo grado aveva correttamente valutato come proveniente dall’imputato la dichiarazione riportata nel predetto C.I.D. della Compagnia Assicuratrice Liguria, essendo stata dallo stesso sottoscritta (con firma che non era mai stata formalmente disconosciuta) e comunque non potendo che essere stata redatta da persona che aveva ricevuto dallo stesso B. la descrizione dell’incidente (stante l’assenza di testimoni e il ricovero della vittima);
  2. b) non era attendibile la successiva dichiarazione dattiloscritta – che l’imputato aveva inviato al perito della Compagnia di Assicurazioni – perché “palesemente e inspiegabilmente difforme da quanto egli stesso aveva sino a quel momento affermato”;
  3. c) parimenti nonattendibile era quanto riferito dal B. in sede di interrogatorio reso alla P.G. l’8.3.2011 (laddove aveva precisato di avere “visto la donna accasciarsi a terra e cadere sulla sede stradale”): sia perché il teste C., che al momento dell’incidente si trovava all’interno del suo negozio posto nei pressi, aveva riferito di avere sentito “una botta”, tanto da essere uscito a causa di quel rumore (il semplice “accasciarsi” dell’anziana signora, invero, non avrebbe causato un rumore così forte da essere sentito all’interno di un negozio e da indurre il negoziante ad uscire subito per strada); sia perché non erano emersi elementi che potessero far pensare ad una improvvisa autonoma perdita di equilibrio della donna (non risultavano anomalie della strada né particolari fenomeni atmosferici; la donna non aveva avuto un malore, dato che dopo la caduta era compos sui (nda, padrona di sé); lo stesso imputato, unico soggetto presente al fatto, non aveva mai indicato una diversa causa di quella caduta, a cui pure aveva assistito). Per le ragioni che precedono la Corte territoriale ha confermato che, alla luce delle prove raccolte e nell’inesistenza di una ipotesi alternativa razionale e plausibile, era risultato dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che la caduta della anziana ciclista era avvenuta (non per una mera “concomitanza ambientale” con il B., che si stava accingendo a scendere dalla sua auto, ma) perché il B. aveva aperto lo sportello del suo veicolo mentre la bicicletta stava sopraggiungendo, non essendosi accorto della stessa, andando così ad interferire con il suo transito. La Corte territoriale si è fatta carico di esaminare la contestazione mossa dall’appellante alla consulenza del PM (nella parte in cui questi aveva indicato la posizione della ciclista come in marcia sul lato destro della strada e in prossimità della fila delle auto in sosta), dicendo che si trattava di una mera ipotesi; e ha ritenuto infondata detta contestazione, in quanto il consulente aveva utilizzato un dato che emergeva dalle prove acquisite; peraltro anche il consulente M., nominato dalla Liguria Assicurazioni – il quale, nel ricostruire le modalità del sinistro, aveva fatto ricorso all’ausilio dello stesso B. che lo aveva accompagnato in una ricognizione sul posto – nelle sue conclusioni aveva escluso che la donna stesse viaggiando a tale distanza dall’auto da non poter ricevere alcuna turbativa dall’apertura dello sportello.

La Corte territoriale ha ritenuto che, essendo risultato provato che l’incidente era consistito nella caduta della ciclista provocata dall’apertura dello sportello dell’auto – risultava poco rilevante accertare se si fosse verificato anche un vero e proprio urto tra di essi o se la donna avesse perso l’equilibrio per un brusco cambio di traiettoria a cui si fosse trovata costretta dalla turbativa costituita appunto dall’apertura dello sportello: infatti in entrambi i casi il B. avrebbe violato l’art. 157 c.7 c.d.s. ed avrebbe quindi cagionato, per colpa, il sinistro stesso. Sotto questo profilo, la Corte ha correttamente rilevato che, in presenza di una incertezza probatoria, il giudice ben può valutare tutti i possibili collegamenti tra l’evento e la condotta, dovendo pronunciare la condanna ogniqualvolta emerga che la condotta dell’imputato, anche se non ricostruita con assoluta certezza, abbia in ogni caso concorso a cagionare l’evento. Nel caso in esame, secondo la Corte, era certo che il B. ha aperto lo sportello della propria auto mentre sopraggiungeva la bicicletta condotta dalla B. ed era certo che, così facendo, il B. ha interferito con il percorso della bicicletta; tale condotta non solo era stata altamente imprudente (essendo notoria la probabilità che un altro veicolo, soprattutto a due ruote, stia transitando sulla sede stradale tenendosi accostato alle auto in sosta, essendo obbligato a viaggiare in prossimità del lato destro della corsia), ma anche violativa dell’art. 157 del codice della strada (il quale al settimo comma vieta a chiunque “di aprire le porte di un veicolo… senza essersi assicurato che ciò non costituisca pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada”). Per le ragioni che precedono la Corte ha ritenuto ampiamente provata la responsabilità del B. nel sinistro, dallo stesso cagionato con colpa generica e con la contestata colpa specifica.

2.4. A fronte della duplice ed ampiamente argomentata disamina (effettuata in sede di merito e sopra ripercorsa), le diverse prospettazioni del ricorrente si risolvono in censure sull’apprezzamento del compendio probatorio, che sono improponibili in sede di legittimità e comunque sono infondate, avendo entrambi i giudici del merito fatta satisfattiva applicazione dei principi vigenti in materia ed avendo il giudice di secondo grado sottoposto a complessiva argomentata rivisitazione il compendio probatorio.

3.Infondato è anche il profilo del ricorso concernente la contestata sussistenza dei nesso causale tra la colpevole condotta colpevole del B. ed il decesso della Sig.ra B..

3.1. E’ nota la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale, ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione dei nesso causale tra la condotta e l’evento (art. 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo (giacché, allora, la disposizione sarebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause di cui all’art. 41 c.p., comma 1), ma anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Orbene, l’apprezzamento sulla natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto è comunque accertamento devoluto al giudice di merito che deve logicamente motivare il suo convincimento sul punto. Tanto è per l’appunto avvenuto nel caso di specie, nel quale entrambi i giudici di merito, esaminando tutti i dati processuali a disposizione, hanno escluso l’interruzione del nesso causale.

3.2. Ed, invero, al riguardo, il Tribunale di Pistoia ha in primo luogo accuratamente ripercorso la storia clinica della donna. Quest’ultima: nell’immediatezza era stata ricoverata per un trauma cranico con frattura occipitale, un’emorragia cerebrale e la frattura dei perone sinistro; aveva avuto un decorso regolare ed era stata dimessa il 10.6.2009, ma il 25.6.2009 aveva manifestato un episodio di lipotimia e il 10.7.2009, improvvisamente, aveva riportato un arresto cardiaco; subito ricoverata, era deceduta quel giorno stesso per “embolia polmonare massiva”. Quindi, il giudice di primo grado – dopo aver rilevato che dall’autopsia era emersa la presenza di trombi al polmone sinistro – ha ritenuto corretta la valutazione dell’anatomo-patologo, nominato consulente dal PM, secondo cui tale embolia era “da ricondursi, etiopatogeneticamente, al trauma subito al livello dell’arto inferiore sinistro il 21.5.2009 e alla immobilizzazione cui fu costretto il soggetto in seguito all’evento”, anche perché nel corso dell’autopsia era emersa pure una trombosi dei vasi venosi profondi della gamba sinistra. Il Tribunale di Pistoia ha dato atto che il consulente tecnico della difesa – pur ritenendo a sua volta che la causa della morte era stata l’embolia polmonare dovuta ad una trombosi conseguente alla frattura e alla immobilizzazione provocate dall’incidente – aveva sostenuto che il nesso causale tra la caduta e il decesso era stato interrotto dal sopravvenire di un’altra causa, cioè l’errore medico (in quanto la donna non era stata curata con le terapie necessarie per scongiurare il rischio di una trombosi, che nel suo caso era elevatissimo, mentre la somministrazione di eparina a basso peso molecolare, come previsto dai protocolli sanitari, avrebbe ridotto il rischio di morte dal 30% al 2-8%); ma ha significativamente osservato che anche il consulente delle difesa aveva riferito che le predette terapie non avrebbero eliminato dei tutto il rischio di morte, tanto che si era detto d’accordo con la conclusione del consulente del PM secondo cui in casi simili l’evento mortale era “latamente prevedibile ma non del tutto prevenibile”.

3.3. E la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’eventuale errore dei medici non aveva interrotto il nesso causale tra le lesioni subite dalla B., provocate dal sinistro di cui l’imputato era responsabile, e la sua morte, e tanto meno esso si poneva come causa sopravvenuta da sola idonea a provocare l’evento. II sinistro aveva cagionato all’anziana donna gravi lesioni che sarebbero state sufficienti per provocarne la morte, essendole state riscontrate una frattura occipitale, con emorragia cerebrale ed emorragia subaracnoidea frontale, e la frattura del perone; l’intervento dei medici avrebbe potuto forse evitare il decesso, ma persino il consulente medico-legale nominato dall’imputato non aveva potuto non riconoscere che, in una simile situazione di lesività aggravata dall’età e dalle non perfette condizioni di salute della paziente, persisteva un rischio di mortalità pari al 2-8% anche in caso di applicazione delle migliori terapie conosciute e con il pieno rispetto dei protocolli medici.

3.4. Anche in punto di nesso causale, dunque, la sentenza impugnata si sottrae alle censure del ricorrente, essendo corredata da motivazione adeguata e conforme a legge.

  1. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali