Misurazione errata dell’altezza del Vigile

Approfondimento di Vincenzo Giannotti

31 Agosto 2020
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L’altezza del candidato è stata, infine, ritenuta adeguata dal giudice amministrativo con sentenza rimasta inoppugnabile e quindi definitiva. Solo da questo momento, il provvedimento amministrativo è considerato illegittimo radicando il diritto del ricorrente ad essere risarcito con gli stipendi non percepiti dalla data della sentenza a quella della sua immissione in servizio. Questo principio è stato confermato anche dalla Cassazione (ordinanza n.17895/2020).

La vicenda

Un partecipante ad un concorso pubblico, risultato vincitore dello stesso, non è stato immesso nel ruoli dell’ente in quanto la sua altezza era inferiore a quella stabilita dal bando di concorso (minimo 1,70 metri contro 1,69 metri certificato dalla Commissione medica). Questa esclusione, tuttavia, non veniva tempestivamente impugnata dal dipendente. A seguito del ricorso di altri candidati, il Comune ha proceduto a rimisurare l’altezza di tutti gli idonei con altra Commissione medica. Anche in questo caso, al vincitore del concorso, è stata comminata l’esclusione confermando la sua altezza pari a 1,69 metri inferiore al minimo previsto dal bando. In quest’ultimo caso il candidato ha, tuttavia, presentato ricorso al giudice amministrativo che gli dava ragione stabilendo in via definitiva che l’altezza fosse pari a 1,705 metri, quindi, superiore alla soglia minima sancita dal bando di concorso. Contro l’errata misurazione della Commissione media, il candidato si è rivolto al giudice ordinario per chiedere il risarcimento del danno pari ai mancati stipendi percepiti per comportamento illegittimo della PA. Il giudice di primo grado ha accettato le rivendicazioni del candidato, mentre la Corte di appello, in parziale riforma della sentenza dei giudici di prime cure, ha limitato il risarcimento, pari agli stipendi non percepiti dal candidato solo dalla sentenza del giudice amministrativo fino all’immissione in ruolo (solo un anno) non considerando gli altri undici anni decorrenti dalla iniziale esclusione fino alla data della sentenza dei giudici amministrativi che al contrario hanno accolto il ricorso del candidato. Secondo il giudici di appello, infatti, non essendo stato impugnato dal ricorrente l’atto amministrativo iniziale, con cui l’attore era stato per la prima volta escluso dalla graduatoria, gli unici danni risarcibili da lui patiti consistevano negli stipendi non percepiti dalla data del secondo provvedimento di esclusione, impugnato dal ricorrente, e la data di assunzione effettiva.

Contro la sentenza è ricorso il candidato in Cassazione censurando la stessa con tre motivi. Il primo, per non avere considerato che la condotta illecita venne tenuta dalla p.a. sin dal momento della sua prima esclusione. Il secondo motivo, in quanto la sentenza non avrebbe tenuto conto che il danno da lui patito iniziò a prodursi dalla data della prima esclusione. Infine, l’ultimo motivo, per non aver la Corte di appello tenuto conto che la sentenza del TAR divenuta definitiva non poteva che avere efficacia ex tunc.

 

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