La presunzione di pari responsabilità nel sinistro stradale, di cui al secondo comma dell’art. 2054 c.c. ha carattere sussidiario ed opera solo quando non sia possibile in concreto accertare le cause ed il grado delle colpe incidenti nella produzione dell’evento dannoso. Cassazione civile  sez. III,19 giugno 2014, n. 12691

10 Agosto 2015
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1.- omissis propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda da lui avanzata nei confronti di omissis e della omissis Spa, per ottenere il risarcimento dei danni sofferti per l’incidente occorsogli mentre percorreva, alla guida del moto omissis di sua proprietà, la via omissis ed era stato ivi investito, in prossimità di un incrocio, dalla omissis di proprietà della omissis e da lei condotta, assicurata per la R.C.A. con la predetta compagnia, proveniente dall’opposto senso di marcia. Con la stessa sentenza il Tribunale aveva dichiarato cessata la materia del contendere sulla domanda riconvenzionale avanzata dalla convenuta, che aveva concluso un accordo transattivo in corso di causa.

 

2.- La Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata il 1 febbraio 2011, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore della costituita omissis Assicurazioni Spa (già omissis Assicurazioni Spa).

 

3.- Avverso la sentenza, omissis propone ricorso, affidato a tre motivi. Gli intimati non si sono difesi.

 

La omissis quale procuratrice e mandataria di omissis s.p.a., ha depositato procura speciale notarile per partecipare alla discussione orale, ma l’avvocato della parte non si è presentato all’udienza.

 

 

Diritto

 

 MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo è dedotto il vizio di insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5, c.p.c., “relativamente alla statuizione di inammissibilità del primo motivo di appello”. Il ricorrente dichiara, in primo luogo, di voler censurare siffatta statuizione che la Corte d’Appello ha pronunciato ai sensi dell’art. 342 c.p.c. reputando il motivo di gravame “mancante del requisito della specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c.”.

 

Con riferimento a questa censura il motivo di ricorso è inammissibile perchè lamenta un vizio di motivazione laddove avrebbe dovuto essere denunciata la violazione dell’art. 342 c.p.c..

 

2- Peraltro, il ricorrente aggiunge censure volte a contestare la ricostruzione fattuale comunque emergente dalla sentenza del giudice d’appello.

 

La Corte d’Appello ha ritenuto che l’affermazione del Tribunale di esclusiva responsabilità del sinistro in capo al motociclista fosse fondata non tanto sull’individuazione del punto di scontro nella corsia di pertinenza dell’autovettura (che la Corte stessa ha riconosciuto essere stato frutto di un “fraintendimento” da parte del Tribunale) quanto sulla circostanza che il motociclista non avesse tenuto rigorosamente la destra della propria carreggiata, come disposto dall’art. 143 del codice della strada, “di per sè sola sufficiente alla causazione dell’evento”; ha altresì ritenuto che l’atto di appello non avesse indicato gli elementi di fatto in base ai quali ritenere provato che la omissis, alla guida dell’autovettura antagonista, avrebbe effettuato una manovra di svolta a sinistra tagliando la strada al motociclo; ha, infine, ritenuto che la sentenza di primo grado non contenesse affatto, come sostenuto dall’appellante, “una apodittica affermazione dell’eccessiva velocità del motociclo”, ma l’avesse desunta dalla lunghezza delle tracce di frenata risultanti dal verbale dei vigili urbani, senza che il dato fosse stato smentito con l’atto di appello.

Ha concluso ritenendo che l’appellante non avesse adeguatamente censurato la ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale il sinistro aveva avuto luogo per esclusiva responsabilità del B. “per avere questi intrapreso l’attraversamento dell’incrocio senza mantenere la destra della carreggiata ed a velocità eccessiva”.

 

2.1.- Col motivo in esame il ricorrente sostiene di avere invece adeguatamente censurato la sentenza di primo grado, evidenziando come il primo giudice avesse frainteso un’affermazione dell’atto di citazione, reputando, contrariamente al vero, che lo stesso attore avesse confessato che l’incidente era avvenuto sulla corsia di pertinenza dell’auto, e di avere comunque dedotto che, a tutto voler concedere, la violazione dell’obbligo di tenere la destra, non avrebbe potuto essere ritenuta causa esclusiva dell’incidente, avendo la controparte effettuato una manovra di svolta a sinistra senza concedere la precedenza. Sostiene che il secondo giudice non avrebbe congruamente motivato su queste sue censure.

 

2.2.- Dalla sentenza risulta che la Corte ha affrontato l’esame di ciascuna delle censure dell’appellante. Ha espressamente escluso che vi fossero elementi di prova idonei a comprovare la ricostruzione dei fatti sostenuti dall’appellante, in punto di improvvisa svolta a sinistra da parte della conducente della Renault. Ha così avallato una ricostruzione delle condotte di guida che, per necessità logica, presuppone che fosse stato il conducente del ciclomotore a non tenere rigorosamente la destra (a prescindere, quindi, dall’erronea lettura dell’atto di citazione compiuta dal Tribunale), senza che fosse imputabile all’autovettura antagonista una condotta di guida colpevole (tagliando la strada al motociclo, per compimento irregolare della manovra di svolta o per il mancato rispetto dell’obbligo di precedenza).

 

2.3.- Nel ricorso, oltre ad insistere sull’erronea lettura dell’atto di citazione da parte del Tribunale, al fine di smentire detta ricostruzione, il ricorrente si basa sulle dichiarazioni rilasciate dalle parti agli agenti della Polizia Municipale intervenuti in loco (raccolte nel verbale di incidente) ed sul grafico di sinistro disegnato nel medesimo documento.

 

E’ evidente come, ripercorrendo il tenore delle une e dando una propria lettura dell’altro, il motivo involga un accertamento di fatto demandato al giudice di merito e ritorni sull’interpretazione di risultanze probatorie che il giudice d’appello mostra di avere comunque apprezzato. Per di più, esse, per come riportate in ricorso, risultano tali da non evidenziare elementi di fatto decisivi, del tutto incompatibili con la ricostruzione operata dai giudici di merito (non essendo certo tale il solo fatto che il punto d’urto fosse entro la corsia di marcia della moto; altrettanto equivoca, in senso favorevole al ricorrente, è la dichiarazione della omissis, secondo cui il semaforo dal suo lato sarebbe stato acceso sul giallo, poichè utile a riscontrare, in senso invece a lui sfavorevole, l’affermazione del primo giudice, riportata dal secondo, per cui il B. aveva impegnato l’area dell’incrocio ” … quando dalla sua parte il semaforo segnava via impedita”).

 

2.4.- Analogamente è a dirsi per la valutazione espressa dal primo giudice, e ribadita dalla Corte d’Appello, in punto di velocità della motocicletta, giudicata eccessiva. Il ricorrente sostiene di aver evidenziato con l’atto di appello che non di tracce di frenata si sarebbe trattato bensì di tracce di scarrocciamento della moto dopo l’urto. Tuttavia, non risulta dalla parte dell’atto di appello riportata in ricorso la specifica confutazione dell’idoneità di dette tracce a provare la velocità del motoveicolo, fatto salvo un cenno alla “nota legge cinematica” ed alla mancata elevazione della corrispondente contravvenzione al codice della strada a carico del motociclista da parte degli agenti della Polizia Municipale. Si tratta di elementi entrambi ricadenti nell’ambito dell’apprezzamento in fatto riservato al giudice del merito.

 

2.5.- Segue a tutto quanto sin qui detto l’inammissibilità delle censure di vizio di motivazione contenute nel primo motivo, atteso che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento e valutare le prove, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (così, tra le tante, Cass. n. 15489/07; cfr. anche, Cass. n. 42/09, n. 16499/09, Cass. ord. n. 91/14, Cass. n. 25332/14).

 

3.- Col secondo motivo di ricorso è denunciato il vizio di insufficiente, illogica ed errata motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., “relativamente alla statuizione di infondatezza del secondo e del terzo motivo di appello”. Il ricorrente censura il rigetto dei motivi di gravame con i quali aveva fatto valere la mancata risposta all’interrogatorio formale da parte della omissis e l’assunzione di responsabilità da parte sua nell’atto di transazione concluso con la compagnia di assicurazione.

 

3.1.- La Corte d’Appello ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte.

In particolare, quanto alla mancata risposta all’interrogatorio formale, ha richiamato la giurisprudenza per cui la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale non è affetta da vizio di motivazione, atteso che l’art. 232 c.p.c., a differenza dell’effetto automatico di ficta confessio ricollegato a tale vicenda dall’abrogato art. 218 del precedente codice di rito, riconnette a tale comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità (così Cass. n. 20740/09 e n. 15383/10, richiamate in sentenza, nonchè di recente ord. n. 19833/14).

 

3.2.- Quanto alla pretesa equivalenza alla confessione delle ammissioni contenute nell’atto di transazione, ha richiamato la giurisprudenza per la quale il riconoscimento di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di animus confitendi, ove costituisca l’oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione, poichè non integra una dichiarazione di scienza che sia fine a se stessa, ma s’inserisce nel contenuto del contratto transattivo ed è strumentale rispetto al raggiungimento dello scopo di questo, il che fa venir meno, nella rappresentazione interna che l’autore si forma della propria dichiarazione, la basilare caratteristica che alle confessioni conferisce forza probante (così Cass. n. 712/97, n. 11363/02 citate in sentenza). Senza che questa giurisprudenza trovi smentita nell’orientamento per il quale nel contenuto complessivo di una proposta transattiva o di una transazione può distinguersi anche un momento accertativo della situazione di fatto preesistente, e in tal caso le relative dichiarazioni di scienza hanno valore confessorio, a condizione, tuttavia, che esse abbiano per oggetto la ricognizione di situazioni fattuali o di situazioni giuridiche considerate, però, sub specie facti (quali un preesistente negozio, un contratto, una promessa ecc.), e non già valutazioni giuridiche (così Cass. n. 19883/05, n. 3033/09). Poichè non si ha motivo di discostarsi dai precedenti richiamati, e nel caso di specie si è trattato di omesso interrogatorio formale e di transazione sulla valutazione della percentuale di responsabilità riconosciuta a proprio carico dalla omissis il motivo in esame va rigettato.

 

4.- Col terzo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione sul rigetto del quinto motivo di appello e violazione dell’art. 2054 comma 2 c.c..

Il ricorrente sostiene che l’errore in cui sarebbe incorso il giudice d’appello consisterebbe nell’avere affermato che il materiale istruttorie ha consentito al Tribunale di ricostruire la reale dinamica del sinistro, mentre, a detta del ricorrente, non vi sarebbe stato alcun elemento da cui desumere la concorrente sua responsabilità ed, a maggior ragione, la sua colpa prevalente ed esclusiva. Ritorna quindi, punto per punto, sulle argomentazioni svolte nel primo motivo di ricorso.

Escluso, per quanto detto trattando di questo motivo, che l’attribuzione di responsabilità esclusiva al omissis sia erronea ed arbitraria, come da questi sostenuto, ed escluso altresì che sia erronea la mancata individuazione di una condotta colpevole in capo alla conducente dell’auto antagonista, è corretta l’esclusione, da parte della Corte d’Appello, dell’operatività della presunzione dell’art. 2054 comma 2 c.c..

Va infatti ribadito che in tema di circolazione stradale, la presunzione di cui al secondo comma dell’art. 2054 c.c. ha carattere sussidiario ed opera solo quando non sia possibile in concreto accertare le cause ed il grado delle colpe incidenti nella produzione dell’evento dannoso (cfr. Cass. n. 10304/09, nonchè Cass. n. 9528/12 e ord. n. 21130/13). In conclusione il ricorso va rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione perchè gli intimati non si sono difesi.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.