Ritorno al futuro II

27 Novembre 2015
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di Emiliano Bezzon
Tratto dalla rivista Il Vigile Urbano

Dal celebre film prendo solo il titolo che, comunque, calza perfettamente rispetto al discorso che vorrei affrontare.
Il tema merita di essere affrontato dopo l’approvazione della riforma cosiddetta “Madia”.
Da tempo, la comunità professionale della polizia municipale si interroga sul proprio ruolo e sul proprio destino, in molti casi continuando a sperare che il legislatore approvi una nuova legge quadro. E parlo di “comunità professionale” e non di “categoria” con piena consapevolezza che solo apparentemente si tratta di sinonimi. Categoria è oggi il termine più usato ma, a ben soppesarlo, ha in sé un senso di rivendicazione, di contrapposizione (a chi? a cosa?) risultando poco empatico. Quando, invece, si pensa ad una comunità professionale, si respira un clima di aggregazione, condivisione, affiatamento, aspirazione alla crescita.
È molto diverso.
Il primo passo da fare è smettere i panni (scomodi) della categoria e vestire quelli (più accattivanti e positivi) della comunità professionale. Questo serve a ingenerare un diverso atteggiamento nei diversi interlocutori, siano essi istituzionali o meno.
A questo punto, per avere qualche idea in più sul futuro, è necessario fare riferimento ad un paio di norme, che forse sono sfuggite all’attenzione dei più.
La prima è quella contenuta nell’articolo 19 del decreto legge n. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012, sulla revisione della spesa pubblica (spending review); il primo comma elenca le funzioni fondamentali (quindi irrinunciabili) dei comuni e, tra queste, cita espressamente la “polizia municipale e polizia amministrativa locale”.
La seconda è quella contenuta nell’articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124 “Deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”; qui dentro, ad un certo punto, si parla di “razionalizzazione e potenziamento dell’efficacia delle funzioni di polizia, anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio…”.
Tutti hanno ben chiaro qual è l’obiettivo di questa norma che, a breve, dovrebbe vedere l’incorporazione del Corpo Forestale dello Stato in altra Forza di Polizia, ad esempio. Pochi, invece, sanno che il termine “funzioni” ha sostituito il precedente “forze” di polizia e questo si deve ad una persona che, svestendo temporaneamente l’uniforme della polizia e rivestendo un ruolo di rilievo in ambito governativo, ha ottenuto un risultato importante. Sì, perché se nel testo di legge fosse rimasto il termine “forze di polizia” nessun decreto attuativo della riforma avrebbe mai potuto nemmeno sfiorare le polizie municipali, che forza di polizia, come è ben noto, non sono. Ora invece, l’inclusione o meno delle polizie municipali nella riforma complessiva del sistema sicurezza del Paese discende da una scelta politica, ma non deve scontare un divieto di natura giuridica.
E davvero non è poco.
Entrambi i testi succitati parlano di funzioni di polizia e non di corpi e servizi, questo sta a significare che occorre muoversi su un piano ontologico e non organizzativo, cioè su un piano di competenze e responsabilità e non su un piano di attività e risultati. Detto in altri termini, non conta cosa si stia facendo, ma cosa compete fare, partendo dalla tipicità della propria funzione.

La domanda da porsi, allora, è la seguente: se il legislatore intende semplificare un sistema di sicurezza, quali saranno le funzioni salvaguardate prioritariamente?

A me viene immediatamente da rispondere che saranno quelle esclusive di un’organizzazione di polizia. Detto in altri termini, in un quadro di razionalizzazione, ha molte più probabilità di sopravvivere un’organizzazione che esercita funzioni esclusive, rispetto a chi eserciti funzioni concorrenti. Se si intende razionalizzare non si può certo permettere che più soggetti facciano le stesse cose o, meglio abbiano le stesse funzioni tipiche: per contenere i costi e aumentare l’efficacia, si sceglierà chi svolge meglio determinate funzioni, togliendole agli altri.
È logico mi pare.
In questo contesto, quale può essere la carta vincente delle polizie municipali?
Io credo che il modo migliore per avere spazi adeguati non sia quello di chiedere di essere equiparati ad altri organi di polizia (ad esempio estendendo le prerogative in ambito di polizia giudiziaria, ma non solo); al contrario, occorre far emergere la propria tipicità, la propria qualità esclusiva.

Detto in altri termini, occorre valorizzare le funzioni storicamente e tradizionalmente svolte, arrivando in molti casi ad essere gli unici ad averle di fatto mantenute.

Per questo mi pare miope l’atteggiamento di chi tende a trasformare il proprio ruolo, andando sempre più a sovrapporsi con quello di altri organi ed estremizzando la gestione informatica e telematica delle funzioni tradizionali: perché il legislatore dovrebbe preoccuparsi di salvaguardare, nell’ambito di un’azione di contenimento della spesa, un’organizzazione di polizia locale che si occupa prevalentemente di polizia giudiziaria e demanda il controllo del traffico e l’attività sanzionatoria quasi esclusivamente a sistemi di controllo da remoto?
La polizia giudiziaria la fanno già altri e l’utilizzo di sistemi da remoto non richiede un significativo impiego di risorse umane!

Ergo, in un’ottica di contenimento dei costi, si possono seriamente correre rischi di esubero di risorse umane.
Al contrario, come si può porre il legislatore di fronte ad un’organizzazione che si occupa di polizia amministrativa locale in modo accurato, di presidio del territorio e raccolta delle informazioni, di controllo della sicurezza della circolazione e della sicurezza urbana e via dicendo?

Potrà il legislatore permettersi di sopprimere una funzione di polizia di cui nessun altro è in grado di farsi carico?

Evidentemente no.

Detto questo, io non voglio certo sostenere l’inopportunità dell’uso delle tecnologie e dello sviluppo di attività di polizia giudiziaria; il mio pensiero è che occorre evitare che queste attività diventino prevalenti, svuotando i corpi e servizi di polizia municipale della loro funzione tipica; perché se così fosse, cioè se non venisse più svolta la funzione di polizia municipale e di polizia amministrativa locale, non ci sarebbe nemmeno la possibilità per i comuni di mantenere in vita corpi e servizi, come previsto dalla prima delle due norme qui citate.
Può darsi che il mio ragionamento sia permeato da eccessivo pessimismo; ma mi domando se, quando qualche anno fa sono nate le polizie provinciali, qualcuno potesse pensare che sarebbero state cancellate dopo così poco tempo.
Le polizie municipali sono mantenute in vita dalla norma del 2012 che le individua tra le funzioni fondamentali dei comuni, non dai risultati anche eccellenti, che diversi Corpi hanno ottenuto e continuano ad ottenere.

La comunità professionale della polizia municipale credo debba interrogarsi su questo punto: quali sono le funzioni di polizia municipale e polizia amministrativa locale (cioè non concorrenti con quelle rimaste in capo anche alla Polizia di Stato)?
Fatto questo deve darsi da fare affinché queste funzioni vengano svolte al meglio in tutto il Paese, perché solo così si può aspirare ad avere un ruolo nel processo di riforma del sistema di sicurezza, rendendo manifesta ed evidente l’utilità o, meglio, l’insostituibilità e unicità della polizia municipale.