L’alcoltest non funziona? Spetta all’imputato dimostrarlo

Pubblichiamo un articolo di R. Pullara in tema di guida in stato di ebbrezza e accertamento tramite apparecchio alcoltest

6 Ottobre 2017
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Approfondimento di R. Pullara

L’esame con l’apparecchio alcoltest, si sa, rappresenta uno spauracchio per tutti gli automobilisti o, meglio precisando, per coloro che decidono di porsi alla guida dopo aver assunto bevande alcoliche. L’esito del fatidico soffio può rappresentare lo spartiacque tra uno scampato pericolo, da una parte, e la denuncia all’autorità giudiziaria, dall’altra, con conseguenti gravi ripercussioni per la propria patente di guida e per le (pressanti) esigenze familiari e lavorative.
E’ a quel punto che l’italico genio può iniziare a mostrare il meglio (??) di sé. Le cronache, puntualmente, pongono in risalto infatti talune pronunce ove l’autorità giudiziaria è pervenuta ad annullare l’accertamento compiuto dalla polizia giudiziaria sulla base di motivazioni più o meno “innovative”. L’elenco dei sistemi e delle scusanti utilizzate per aggirare la legge e gabbare il responso dell’etilometro si arricchisce così sempre più, periodicamente: costituiscono ormai classici di repertorio le assoluzioni dovute all’uso del colluttorio prima di mettersi alla guida, o di farmaci in grado di influenzare l’esito dell’alcoltest, come anche la presenza di patologie respiratorie. In questa sede vogliamo però occuparci di un aspetto diverso, legato alle contestazioni inerenti il corretto funzionamento dell’apparecchio etilometro al momento dell’esecuzione della prova.
Accade infatti che, in sede giudiziaria, venga contestato l’esito del test adducendo problemi di funzionamento della macchina o errori nella metodologia di esecuzione, ciò che farebbe scaturire un valore alterato e quindi non corrispondente al reale stato psico-fisico dell’imputato al momento del controllo. Possiamo subito chiarire che, per fortuna, il più delle volte la giurisprudenza di legittimità ha adottato un orientamento piuttosto rigoroso sul punto, affermando che “l’esito positivo dell’alcooltest è idoneo a costituire prova della sussistenza dello stato di ebbrezza ed è semmai onere dell’imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell’esecuzione dell’aspirazione ovvero vizi correlati all’omologazione dell’apparecchio, non essendo sufficiente la mera allegazione di difettosità o assenza di omologazione dell’apparecchio” (da ultimo, Cass. Pen., sent. 24 novembre – 10 dicembre 2015, n. 48840). Questa massima esprime bene il fulcro del ragionamento operato dalla Suprema Corte, giacché non basta solamente contestare l’esito del test sulla base di mere congetture o di dubbie “leggende metropolitane”, bensì occorre fornire inequivoci riscontri oggettivi sulla base di evidenze probatorie scientificamente fondate.

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