In presenza di evidenti sintomi anche una sola prova con l’etilometro è sufficiente a fondare la responsabilità per il reato di guida in stato di ebbrezza grave

14 Agosto 2019
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Corte di Cassazione 9/8/2019, n. 35933
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna – riformata parzialmente la sentenza resa dal Tribunale di Ferrara in esito a giudizio abbreviato, riducendo la pena, in forza del novellato art. 442, comma 2, cod. proc. pen., che ha sostituito con i lavori di pubblica utilità – ha confermato nel resto il giudizio di colpevolezza di G. in ordine al reato di cui all’art. 186, commi 2, lett. c) e 2 -sexies, d.lgs. n. 285/1992 (commesso in Comacchio-Lido Estensi, FE, il 25/07/2014).
2. La vicenda, in sintesi. Intorno alle ore 4 della notte, l’imputato, alla guida di un’autovettura di grossa cilindrata, veniva sottoposto a controllo da parte dei Carabinieri. L’alito alcolico, gli occhi lucidi e l’andatura barcollante dell’uomo inducevano i militari ad invitarlo ad effettuare il pretest relativo all’assunzione di alcol, che risultò positivo. Durante le successive operazioni di accertamento mediante etilometro, il prevenuto, che manifestava un’attitudine arrogante, interrompeva più volte il soffio nell’apposito boccaglio, impedendo, in conseguenza, il corretto svolgimento della prova. Eseguita, infine, alle 4.41 – pur indicando l’apparecchio la dicitura “volume insufficiente” – questa aveva evidenziato un tasso alcolemico pari a 2,07 g/I. A questo punto, il prevenuto affermava di non volere eseguire ulteriori prove (perché “tanto aveva bevuto e non serviva farne altre”) e di voler essere sottoposto all’esame del sangue in ospedale. Vani si rivelavano, pertanto, i tentativi degli operanti di eseguire ulteriori prove con l’etilometro perché il G. non le portava a termine, tenendo un atteggiamento non collaborativo e ostile nei confronti degli operanti, di tal che era impossibile procedere alla seconda prova.
3. Avverso la prefata sentenza ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, sollevando due motivi. Con il primo, deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 186, commi 1 e 2, lett. a), b) e c), d.lgs. n. 285/1992 e 379, d.P.R. n. 495/1992 (regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), nonché vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), 533, comma 1, cod. proc. pen. La Corte territoriale ha ritenuto sufficiente a dimostrare la sussistenza del contestato reato l’unica misurazione eseguita, pari a 2,07 g/I, perché corroborata da plurimi elementi sintomatici di un accentuato stato di ebbrezza (alito fortemente vinoso, occhi lucidi, andatura barcollante) ma, proprio perché la legge, all’art. 186, ha determinato tre fasce percentuali diverse, si pone il problema di stabilire quale dei tre illeciti sia effettivamente configurabile in capo all’imputato. In base all’art. 379, d.P.R. n. 495/1992, la concentrazione necessaria per ritenere sussistente lo stato di ebbrezza deve risultare da “almeno due determinazioni concordanti”, effettuate ad un intervallo di tempo di cinque minuti l’una dall’altra. Gli elementi di riscontro valorizzati dalla Corte di appello non appaiono così significativi da ricondurre, oltre il ragionevole dubbio, le condizioni di ebbrezza dell’attuale prevenuto al superamento del limite di soglia del mero illecito amministrativo. Peraltro, la natura barcollante attribuita al G. poteva anche essere ricondotta ad una patologia degenerativa della spina dorsale da cui lo stesso risulta affetto da anni, come attesta la documentazione prodotta nei motivi di appello nuovi che la Corte territoriale non ha tenuto in considerazione, rendendo così una motivazione apodittica. Né quel Giudice ha chiarito perché il comportamento irriguardoso e minaccioso tenuto nei confronti degli operanti potesse configurare un ulteriore sintomo del grave stato di ebbrezza del G. e non invece una mera reazione emotiva dello stesso che si vedeva rifiutare, senza alcuna valida ragione, l’accompagnamento nel vicino ospedale per effettuare un prelievo ematico, come da rilievo difensivo cui l’impugnata sentenza non ha dato risposta.
Con il secondo motivo, lamenta inosservanza o erronea applicazione dell’art. 186, commi 1 e 2, lett. c), cod. strada, nonché mancanza di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e) e 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla mancata riduzione della durata della sospensione della patente di guida. La Corte del merito avrebbe dovuto valorizzare l’incensuratezza dell’imputato il quale, pur avendo a disposizione, un automezzo potente, aveva tenuto una velocità moderata, in un momento in cui le strade del Lido degli estensi erano praticamente deserte. Sul punto la Corte ha omesso di motivare. 4. In data 18/03/2019, il difensore dell’imputato ha depositato in cancelleria motivi nuovi ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., con cui reitera i motivi già espressi con l’atto originario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. La Corte d’appello ha congruamente motivato in ordine alla censura di cui al primo motivo, alla luce degli elementi fattuali disponibili e dei plurimi e convergenti elementi indiziari, sinteticamente esposti in fatto e relativi, da un lato, alla sintomatologia evidenziata dall’imputato (occhi lucidi, alito vinoso, andatura barcollante) e, dall’altro, al comportamento irriguardoso e minaccioso tenuto nei confronti degli operanti. Premesso che entrambe le sentenze del merito ascrivono unicamente alla condotta ostruzionistica e gravemente oppositiva dell’imputato la ragione della mancata effettuazione del secondo accertamento alcolimetrico, il Collegio osserva che, poiché l’esame strumentale non costituisce una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall’art. 186 cod. strada e, qualora vengano oltrepassate le soglie superiori, la decisione deve essere sorretta da congrua motivazione (Sez. 4, n. 22604 del 04/04/2017, Mendoza Roque, Rv. 269979; Sez. 4 n. 30231 del 04/06/2013, Rv. 255870 – caso in n cui la Corte ha ritenuto legittimo l’accertamento dello stato di ebbrezza sulla scorta di un’unica misurazione alcolimetrica, corroborata da elementi sintomatici desumibili dagli atti). Nel caso di specie, gli ulteriori elementi indiziari esposti nella sentenza, occhi lucidi, alito fortemente vinoso, andatura barcollante, costituiscono sufficienti elementi di riscontro dell’unica misurazione che le condizioni di ebbrezza e il comportamento ostile e non collaborativo dell’imputato consentivano nell’occorso, il cui risultato (2,07 g/l) peraltro è del tutto tranquillizzante rispetto al limite di soglia previsto dalla lettera c) dell’art. 186 cod. strada., tenuto conto, come sopra già precisato, che l’indicazione in sede normativa del metodo scientifico per la rilevazione del tasso alcolemico, mediante il ricorso al cosiddetto alcoltest, non introduce una prova legale ma si giustifica in relazione alla necessità di dotare il giudice di indici di valutazione caratterizzati dal minor grado possibile di soggettività ed arbitrarietà [cfr. Sez. 4, n. 2195 del 10/12/2014 (dep. 16/01/2015), Bosso, Rv. 261777]. La doglianza difensiva – reiterata anche nei motivi depositati ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. – riferita alla mancata valutazione di prove asseritamente a discarico, quali la documentazione medica attestante un processo degenerativo a carico della colonna vertebrale, unica ragione della ritenuta andatura instabile e barcollante dell’imputato, si rivela inammissibile perché investe considerazioni di merito, precluse a questa Corte. Al riguardo, peraltro, la sentenza impugnata ha offerto congrua motivazione laddove ha affermato che «si tratta di osservazioni prive di pregio, anche solo per il fatto che – a tutto voler concedere ai poco convincenti rilievi attinenti gli occhi ludici e l’andatura barcollante (quest’ultima asseritamente documentata da referti medici peraltro datati e che appaiono a questa Corte territoriale strumentalmente enfatizzati – esse non danno conto alcuno dell’alito fortemente vinoso». Senza poi voler considerare il contenuto del verbale della polizia giudiziaria, richiamato nella sentenza di appello, ove si dà conto delle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato (pacificamente utilizzabili, in considerazione della scelta del rito abbreviato), implicanti, tra l’altro, l’ammissione che “tanto aveva bevuto e non serviva farne altre” [ndr: di prove alcolimetriche]. Il primo motivo si appalesa, quindi, infondato.
3. Con riguardo al secondo motivo, occorre premettere che costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, quello dell’integrazione delle sentenze di primo e di secondo grado, che ben possono confluire in un corpus unico, cui il Giudice di legittimità può fare riferimento, a condizione che, come nel caso in esame, le due pronunce abbiano adottato criteri omogenei e un apparato logico-argomentativo uniforme [Sez. 3, n.44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 (dep. 01/07/2013), Santapaola e altri, Rv. 256435] Cìò detto, si osserva che la seconda doglianza del ricorso non può trovare accoglimento. Al riguardo, dal plesso argomentativo costituito dalla saldatura tra gli apparati motivazionali delle sentenze di primo e di secondo grado, si evince che il trattamento sanzionatorio, complessivamente inteso, oltre a tenere conto dell’incensuratezza dell’imputato, ha altresì preso in considerazione il tasso alcolemico e la circostanza che il prevenuto fosse alla guida di un’autovettura di grossa cilindrata, con conseguente maggior pericolo per la pubblica incolumità. Sulla base degli elementi testé ricordati, il primo Giudice, confermato sul punto dalla sentenza di appello, ha determinato la durata della sanzione accessoria in anni uno e mesi quattro/che ha doverosamente ragguagliato alla gravità dei fatto e alla pericolosità specifica nella guida dimostrata dal condannato [Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 (dep. 29/01/1996), Clarke, Rv. 203429], con congrua e adeguata, motivazione. Anche questo secondo motivo non può, pertanto, trovare accoglimento. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Al rigetto segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.