Fino a che punto può essere spinta la responsabilità per colpa?

di Cino Augusto Cecchini

20 Aprile 2022
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Spesso, purtroppo, si interviene in incidenti stradali mortali o nei quali una persona ha riportato lesioni gravi o gravissime, ma ci siamo mai chiesti fino a quale punto si spinge la responsabilità penale nei reati di omicidio e/o lesioni colpose?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13714/2022, si è espressa sulla responsabilità penale di un imputato che, alla guida del suo mezzo pesante, a causa della velocità ma anche del ghiaccio, aveva perso il controllo del mezzo e abbattuto una parte di un guardrail autostradale, situazione a seguito della quale trovava poi la morte un uomo che si era avvicinato al veicolo guidato dall’imputato, che a seguito dell’urto penzolava pericolosamente nel vuoto, cadendo poi nel precipizio che non era più riparato dal manufatto che era stato in parte divelto.

E’ interessante capire cosa abbiano detto gli Ermellini dopo due condanne a carico dell’imputato nei processi di primo e secondo grado.

Cass. Pen. Sezione IV, Sent. n.13714 del 16 novembre 2011 (depositata il giorno 11 aprile 2022)

Una Corte di Appello aveva confermato la sentenza con cui un Tribunale del Distretto aveva dichiarato un uomo responsabile del delitto di cui agli artt. 41 e 589, commi 1 e 2, c.p., condannandolo alla pena di giustizia (pena sospesa), nonché al risarcimento nei riguardi delle parti civili, con rispettive somme riconosciute a titolo di provvisionale.

I Giudici del merito avevano fondato l’accertamento della penale responsabilità a carico dell’imputato su profili di colpa generica per imprudenza, e specificatamente in relazione al disposto di cui all’art. 141 cod. strada, per non essere egli stato in grado, a causa della velocità, di conservare il controllo del veicolo che andava così a porsi di traverso sulla carreggiata, abbattendo parte del guardrail. Ravvisavano, in conseguenza, la sussistenza del nesso causale tra detto abbattimento ed il successivo precipitare dal viadotto, in corrispondenza della parte divelta, del conducente di un’altra autovettura (disceso incolume dal veicolo Volkswagen, al pari degli altri occupanti il medesimo). Evidenziavano poi un ulteriore profilo di colpa generica, traente origine dalle stesse dichiarazioni ammissive dell’imputato, derivante dal non avere egli avvertito i passeggeri della Volkswagen, della mancanza del guardrail nelle adiacenze della motrice che era sospesa nel vuoto. La responsabilità dell’imputato è stata ritenuta sussistente quantunque si sia ritenuto di configurare un concorso di colpa della vittima nella causazione dell’evento.

Avverso la sentenza di appello hanno interposto con distinti ricorsi il responsabile civile e l’imputato.

Il ricorso del responsabile civile era fondato su tre motivi con cui si deducono:

a) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 192, commi 1 e 2, c.p.p. per avere la Corte di Appello omesso di valutare le doglianze espresse nell’atto di appello, essendosi limitata a parafrasare la sentenza di primo grado. La censura riguardava, in particolare, la prevedibilità, affermata dai Giudici del merito, della presenza di ghiaccio sul viadotto, stante, altresì, che la strada sino a quel momento percorsa, da Xxxx al viadotto, non era ghiacciata, così come hanno peraltro testimoniato i compagni di viaggio della vittima. Non v’era dunque alcun motivo perché l’imputato mantenesse una velocità più moderata di quella adottata. Lo stesso consulente del pubblico ministero aveva riferito che quelle barriere non erano a norma e che sarebbero state abbattute anche se l’autocarro vi avesse urtato alla velocità di km/h 50. Contraddittoria era la motivazione laddove condivideva il profilo di responsabilità relativo all’omesso avvertimento ai passeggeri del pulmino Volkswagen del pericolo costituito dall’abbattimento delle barriere che non si vedevano. Le conclusioni sul punto cui erano pervenuti i Giudici del merito erano tuttavia contraddette dalle affermazioni dello stesso Tribunale secondo cui vi erano elementi, richiamati dal ricorrente, che inducevano a ritenere che il conducente del veicolo Volkswagen potesse essersi avveduto da sé della mancanza delle barriere protettive.

b) Violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 141, commi 1, 2 e 3, del D.Lgs. 285/92 e vizio di motivazione. La colpa derivante dall’inosservanza della norma in esame consegue alla verificazione in concreto di fatti il cui accadimento la norma violata tende specificamente a scongiurare. A dire della difesa, pertanto, l’imputato non versava in colpa specifica laddove la violazione del codice della strada che gli era stata contestata tendeva unicamente a prevenire l’insorgenza di sinistri stradali, intesi come scontro di autoveicoli, non certo a prevenire eventi del genere di quello occorso, ossia la caduta nel vuoto di un pedone che aveva perso l’equilibrio sporgendosi sul dirupo dopo essersi affacciato pur mancando il guardrail. L’evento verificatosi, inoltre, esulava dalla sfera della ordinaria prevedibilità ad opera dell’uomo medio.

c) Violazione dell’art. 41, comma 2, c.p. in relazione al vizio di motivazione giacché la Corte territoriale si era limitata ad un’acritica sintesi delle motivazioni sviluppate dal primo giudice in relazione ai principi che regolano il concorso di cause. Il conducente del pulmino Volkswagen aveva visto che la barriera protettiva era stata abbattuta, era sceso di corsa dal pulmino, addirittura scavalcando il corpo della moglie e della loro amica per arrivare più presto innanzi alla cabina della bisarca sospesa nel vuoto, ignorando le raccomandazioni della moglie; aveva girato intorno al pulmino superandolo da dietro, era risalito verso la cabina della bisarca costeggiando la parte di viadotto rimasto senza barriera protettiva. Egli era, dunque, consapevole della situazione del luogo e, tuttavia, aveva armeggiato a fianco della cabina di guida del mezzo che, per metà, era sospesa nel vuoto, cadendo proprio in corrispondenza della verticale della cabina. La vittima aveva, pertanto, introdotto un rischio esorbitante tale da interrompere il nesso di causalità.

Il difensore dell’imputato ha articolato un unico motivo con cui si doleva dell’erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, e 41 c.p. La Corte territoriale aveva erroneamente reputato sussistente un nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, pur in presenza di un accertato comportamento altamente imprudente della vittima, tale da doversi considerare causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento.

Le parti civili, avevano presentato conclusioni scritte e nota spese.

COSA HA DETTO LA CORTE DI CASSAZIONE

Gli Ermellini hanno ritenuto i ricorsi meritevoli di accoglimento.

Le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello si erano appalesate illogiche ed incoerenti rispetto alle premesse di fatto pur dalla stessa evocate. Appena avvenuto l’incidente, la vittima, posto sul lato sinistro della terza fila del pulmino Volkswagen e, dunque, sul lato corrispondente a quello da cui sporgeva la motrice ed in cui mancava parte del guardrail, aveva frettolosamente scavalcato il corpo di sua moglie e della teste, era sceso sul lato destro (alla sua sinistra non vi era una portiera accessibile) e si era precipitosamente portato, nonostante le esortazioni della moglie, passando sulla parte posteriore del veicolo Volkswagen, sulla sinistra del veicolo e, quindi, in direzione del precipizio, incrociando la teste I., la quale, discesa dal lato sinistro, faceva, opportunamente, il percorso inverso per riunirsi a tutti gli altri. Doveva dunque ritenersi, aveva continuato la sentenza impugnata, che “… la stessa vittima, verosimilmente spinta dalla curiosità di vedere da vicino la motrice sospesa, si fosse imprudentemente avvicinato ad un precipizio la cui presenza nelle adiacenze e la cui mancata protezione per effetto dell’avvenuta rottura del guardrail era anche da lui percepibile…”. In considerazione dell’anzidetta condotta, valutata anche in termini comparativi rispetto alle condotte degli altri occupanti del pulmino ed agli avvertimenti ricevuti, la Corte distrettuale aveva ritenuto sussistente un concorso di colpa della vittima (la cui quantificazione era rimessa al giudice civile), affermando, tuttavia, che il comportamento imprudente della vittima non integrava interruzione del nesso causale, quale fatto assolutamente anomalo ed imprevedibile tale da determinare autonomamente una nuova situazione di rischio. Aveva motivato l’esclusione dell’interruzione del nesso causale in base al fatto che …la mancanza di guardrail è addebitabile alla condotta colposa dell’imputato, cui era stata addebitata l’ulteriore condotta colposa generica di non avere avvertito gli occupanti che scendevano dalla Volkswagen della mancanza della barriera; la funzione del guardrail su un viadotto è quella, innanzitutto, di prevenire il pericolo di caduta di veicoli e persone nel vuoto…”. La vittima, in sostanza, era caduta “…per effetto del verificarsi dell’evento costituente rischio tipico cui è preposta l’esistenza del guardrail…”.

In ordine alla dedotta interruzione del nesso causale tra la condotta attribuibile all’imputato e la caduta nel precipizio della vittima, il Collegio aveva condiviso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso tra condotta ed evento (art. 41, comma 2, c.p.), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo; in tal caso la disposizione sarebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe sulla base del principio condizionalistico dell’equivalenza delle cause di cui all’art. 41, comma 1, c.p.

La norma, invece, trova applicazione anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Rv. 271846 in cui si è affermato che le cause sopravvenute, idonee ad escludere il rapporto di causalità, sono sia quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell’agente, sia quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole probabilità; nello stesso senso, Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, Rv. 263581; Sez. 4, n. 20272 del 16/05/2006, Rv. 234596). L’interruzione del rapporto di causalità richiede dunque l’anomalia della causa diretta, la quale pur connessa “fenomenicamente” alla causa remota deve essere a questa non riconducibile secondo un nesso di causalità prevedibile; solo lo sviluppo anomalo del percorso causale può condurre ad escludere la riconducibilità dell’evento finale all’autore della condotta cui è imputabile l’innesco del percorso causale.

Va poi ricordato che, nei reati colposi, una volta accertata la causalità della condotta, cioè che un determinato comportamento umano, attivo od omissivo, abbia interferito nella causazione dell’evento, occorre poi verificare se la violazione della regola cautelare abbia contribuito a cagionare l’evento in concreto verificatosi, posto che l’art. 43 c.p. collega l’evento alla violazione della regola cautelare, scritta o generata da fonte sociale. L’ulteriore accertamento che il giudice deve, pertanto, compiere è quello diretto a verificare se l’evento dannoso cagionato sia quello per evitare il quale è posta la regola cautelare (c.d. concretizzazione del rischio), per cui deve escludersi la responsabilità per colpa se l’evento non rientra nello spettro tipico di quelli per evitare i quali è stata posta la regola violata, pur se l’evento è causalmente collegato alla condotta (in questi casi c’è nesso di causalità della condotta, ma non c’è colpa). Si tratta di una indagine successiva a quella relativa all’accertamento della causalità della colpa, perché, prima di porsi il problema della corrispondenza tra l’evento verificatosi e lo scopo della norma cautelare violata, occorre riscontrare se l’azione o omissione colposa abbia inciso sulla verificazione dell’evento. La concretizzazione del rischio va valutata con un giudizio ex post, ad evento avvenuto, giacché si tratta di valutare se quest’ultimo rientri nello spettro di quelli presi in considerazione dalla regola precauzionale violata.

Per poter addebitare un evento dannoso a titolo di colpa ad un soggetto, è, dunque, necessario che la regola cautelare violata sia quella che mirava ad evitare proprio l’evento che si è verificato. Non è quanto si è verificato nella vicenda in esame, poiché la caduta nel dirupo sottostante non rientra nel novero degli eventi che la norma precauzionale dell’art. 141 cod. strada è volta a prevenire. La cautela cristallizzata nell’art. 141 cod. strada, afferente alla velocità e ai suoi limiti, infatti, si traduce nella necessità che il conducente conservi sempre il controllo del proprio veicolo e sia in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, in particolare l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile. Le emergenze processuali hanno offerto un quadro che non consentiva in alcun modo di ritenere che l’incidente occorso alla vittima fosse dipendente dalla condotta dell’imputato cui era stata rimproverata una velocità non adeguata allo stato dei luoghi (fondo stradale ghiacciato), tale da aver determinato lo sbandamento dell’autocarro e il conseguente abbattimento del guardrail. La caduta nel precipizio si era appalesata del tutto indipendente da questo accadimento, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo delle serie causale attribuibile alla condotta dell’agente e venendo a costituire un fattore eccezionale ed imprevedibile, in cui il primo incidente rappresentava soltanto l’occasione per lo svilupparsi di un altro, separato e diverso, processo causale dell’evento, unicamente attribuibile al personale, volontario, comportamento di auto esposizione al pericolo da parte della vittima (sul punto, merita di essere richiamata Cass. Pen. Sez. 4, n. 14198 del 04/05/1990, Rv. 185562, per la quale l’affermazione della colpa dell’imputato in ordine al delitto di incendio colposo, sviluppatosi in seguito ad incidente stradale cagionato da imprudenza alla guida di un veicolo, non comporta necessariamente la sussistenza della colpa dello stesso imputato anche in ordine al delitto di omicidio colposo per la morte di una persona avvenuta in occasione dell’incendio. Manca, infatti, il nesso causale tra la condotta dell’agente e l’evento mortale, se la condotta della parte offesa si presenta del tutto eccezionale ed imprevedibile, indipendente dal fatto del reo e si inserisce in una serie causale come fattore determinante ed autonomo dell’evento).

La Corte di Cassazione ha ritenuto, pertanto, che, pur in presenza della violazione della regola cautelare, il fatto non costituiva reato. In altri termini, in applicazione del principio della concretizzazione del rischio, andava esclusa la responsabilità per colpa se l’evento non rientrava nello spettro cautelare di quelli per evitare i quali è stata posta la regola violata, anche se l’evento era causalmente collegato alla condotta: si trattava di conclusione che consente di sfuggire al pericolo di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento, con una non consentita estensione del rimprovero colposo.

In conclusione i Giudici di Piazza Cavour hanno annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, a cui è conseguita la revoca delle statuizioni civili.

 

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