Il furto della borsa lasciata incustodita in spiaggia sotto l’ombrellone costa due aggravanti

Approfondimento di Cino Augusto Cecchini

1 Luglio 2022
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Il mariuolo aveva approfittato che la borsa, lasciata in spiaggia sotto l’ombrellone, fosse incustodita e la proprietaria era andata a fare un bagno; durante l’assenza di quest’ultima l’aveva sottratta con tutto il suo contenuto, ovvero un portafoglio, un cellulare e un orologio d’oro.

La punizione per il ladro era stata pesante perché i giudici del merito avevano applicato due aggravanti, ovvero l’aver consumato il furto su cose esposte alla pubblica fede (articolo 625 n. 7 c.p.) e l’avere beneficiato di circostanze che avevano ostacolato la difesa privata (articolo 61 n. 5c.p.).

Vediamo cosa ha deciso la Corte di Cassazione alla quale si era rivolto l’imputato per vedere riconosciute le proprie ragioni.

COSA HA DECISO LA CORTE DI CASSAZIONE

Cass. Pen. Sez. IV, ud. 8 giugno 2022 (dep. 22 giugno 2022), n. 23940

I Giudici della Suprema Corte hanno considerato il ricorso privo di fondamento e hanno deciso per il suo rigetto.

Il Collegio ha ritenuto, infatti, che le valutazioni operate, nel caso di specie, dalla Corte territoriale in tema di configurazione delle circostanze aggravanti erano state svolte con piena correttezza giuridica, nel rispetto dei parametri interpretativi indicati dalla Corte di legittimità.

Così, in primo luogo, è risultata giuridicamente corretta l’avvenuta esclusione, da parte della Corte di merito, della circostanza aggravante di cui all’articolo 625 n. 4 c.p., in quanto conforme al generale principio per cui il giudice di appello è legittimato ad escludere d’ufficio le circostanze aggravanti ritenute dal giudice di primo grado allorquando, ovviamente sulla scorta della ricostruzione fattuale contenuta nella stessa sentenza appellata, risultino insussistenti i corrispondenti requisiti, posto che il principio devolutivo vale a definire l’ambito della cognizione del giudice con riguardo al capo della sentenza impugnata, ma non può limitare il potere del giudice di dare la corretta qualificazione giuridica al fatto (cfr. in questi termini: Sez. 1, n. 9427 del 26/09/2017, dep. 2018, T., Rv. 272486-01; Sez. 6, n. 4124 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269441-01).

Gli Ermellini dopo avere chiarito il superiore aspetto, prendendo in esame le doglianze espressamente eccepite dalla parte ricorrente, hanno giudicato che la Corte di Appello avesse correttamente operato la contestazione delle aggravanti di cui agli articoli 61 n. 5 e 625 n. 7 c.p., ritenendo la ricorrenza della loro materialità nel fatto così come contestato in imputazione, nonché giudizialmente accertato, senza, pertanto, incorrere in alcuna violazione della norma dell’articolo 521 c.p.p.

Ciò si sarebbe conformato, infatti, al principio per cui, in tema di circostanze aggravanti, è ammissibile la c.d. contestazione in fatto quando vengano valorizzati, come nel caso in esame, comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare nell’imputazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravatrice, rendendo così possibile l’adeguato esercizio del diritto di difesa (così, tra le altre, Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep. 2020, Rv. 279335-01).

La descrizione del fatto materiale, perciò, delimita i termini della contestazione, a prescindere dall’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati e quale che sia la qualificazione giuridica che a quel fatto materiale possa essere attribuita. Solo l’indicazione del fatto, sufficientemente delineato secondo la particolarità delle varie fattispecie, permette di stabilire l’ambito dei temi di prova, per l’adempimento e l’esercizio tanto dell’onere della prova che dei diritti di azione penale e di difesa delle parti, che degli stessi pertinenti poteri e doveri del giudice del singolo processo.

Parimenti sono state ritenute corrette, poi, le valutazioni giuridiche espresse dalla Corte di Appello ai fini della contestazione delle due circostanze aggravanti configurate in sentenza.

Con riguardo, in primo luogo, all’ipotesi dell’aggravante dell’avere agito su cose esposte alla pubblica fede, di cui all’articolo 625 n. 7 c.p., ha trovato, infatti, applicazione il consolidato principio per cui essa sussiste, “sub specie” di esposizione della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di effetti personali sottratti ai bagnanti sulla spiaggia, in quanto rientra nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustoditi tali oggetti da coloro che abbandonino temporaneamente la spiaggia per andare a fare il bagno (cfr., in questi termini, Sez. 5, n. 14305 del 19/03/2008, Rv. 239488-01).

Allo stesso modo, la peculiarità del fatto contestato all’imputato è apparso coerente con l’esegesi espressa dalla Corte di legittimità, per cui l’aggravante dell’aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, di cui all’art. 61 n. 5, c.p., è integrata dalla ricorrenza di condizioni oggettive che siano concretamente agevolative del compimento dell’azione criminosa (così, tra le altre: Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Cannata, Rv. 279302-02; Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Rv. 27687101).

In ragione delle superiori considerazioni, il Collegio ha ritenuto, di conseguenza, di dover disporre il rigetto del ricorso.

 

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