Il reato di maltrattamento di animali
La Corte di Cassazione Sez. III Pen. con sentenza n. 15453 del 13 aprile ha chiarito che il reato di maltrattamento di animali, prevede la condotta di chi “per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili”. Perché possa dirsi integrata tale fattispecie è necessaria la volontarietà della condotta lesiva in danno dell’animale, ovvero la volontarietà di una condotta che sottoponga lo stesso animale a sevizie o comportamenti o lavori o fatiche insopportabili. La fattispecie di cui all’art. 544 ter cod. pen. si caratterizza quale reato a forma libera, modellato sullo schema dell’art. 582 cod. pen., di guisa che è sufficiente che l’azione sia causale rispetto all’evento tipico. Accanto a una condotta generatrice di lesioni, si colloca altra condotta, ugualmente rilevante sul piano penale, che attenti al benessere dell’animale e alle sue caratteristiche etologiche attraverso comportamenti incompatibili con le esigenze naturali dell’animale che vanno inscindibilmente salvaguardate.
Infatti,la nozione di comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche non assume un significato assoluto (come raggiungimento di un limite oltre il quale l’animale sarebbe annullato), ma un significato relativo inteso quale contrasto con il comportamento proprio della specie di riferimento come ricostruita dalla scienza naturale. E, in questo senso, la collocazione degli animali in ambienti inadatti alla loro naturale esistenza, inadeguati dal punto di vista delle dimensioni, della salubrità, delle condizioni tecniche vale certamente a integrare la fattispecie nei termini oggi richiesti dal legislatore.
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