Le conoscenze raggiunte nel campo della genetica forense hanno determinato la necessità di introdurre norme specifiche all’interno del codice di procedura penale, al fine di disciplinare le modalità di prelievo dei campioni su soggetti viventi, anche nel caso in cui si renda necessaria la coazione fisica, preservando sempre l’integrità e la dignità della persona in modo da bilanciare le esigenze di indagine con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione.
L’articolo 2 della Costituzione sancisce che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Il comma 2 dell’articolo 32 della Costituzione tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, per cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e, nel contempo, nemmeno la legge può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Inoltre, l’articolo 13 della Costituzione vieta qualsiasi forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
Ed è così che il tema dei prelievi coattivi si era quindi posto all’attenzione dei giudici costituzionali, tanto in relazione alla possibile invasività prelievi stessi, sia per quanto riguarda la privazione della libertà personale necessaria per l’esecuzione delle operazioni peritali.
Con l’ordinanza 301 del 2001, la Corte Costituzionale, in via incidentale ha comunque affermato che è inutilizzabile l’esame tossicologico effettuato su ordine della polizia giudiziaria, senza il previo consenso dell’interessato per il prelievo ematico. Questo sotto il profilo che, essendo prevista una prova specifica per l’accertamento dello stato di ebbrezza, diversa dal prelievo ematico, e essendo questa pratica invasiva, non pare ammissibile in assenza di una esplicita previsione di legge (riserva assoluta).
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