Raggiunto dalla pattuglia il medesimo reagiva in maniera violenta per sottrarsi all’operato degli agenti.
Lo stesso veniva perseguito per il reato di cui all’art. 186, c. 7, D.Lgs. 285/1992, nonché per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p..
Alla condanna per resistenza veniva a sommarsi la sentenza della corte d’Appello avverso la sentenza di condanna del GUP per il reato di rifiuto a sottoporsi ad accertamento etilometrico.
La Corte adita riformava parzialmente la sentenza impugnata, aumentando la pena detentiva di due mesi di reclusione, oltre alla pena accessoria della sospensione della patente, riconoscendo la continuazione del reato di resistenza ex art. 337 c.p. ed il reato di rifiuto ex art. 186 c. 7 D.Lgs. 285/92.
L’imputato presentava quindi ricorso per Cassazione, eccependo il principio di specialità sancito dall’art. 15 c.p., sostenendo pertanto che la fattispecie dettata dall’art. 337 c.p. dovesse considerarsi assorbente il reato di cui all’art. 186 c. 7 D.Lgs. 285/92.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso sostenendo che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi in materia escludendo che nella fattispecie in esame possano applicarsi le regole sul concorso apparente di norme penali.
Precisa la Cassazione che il reato di cui all’art. 186, comma 7, C.d.sS «è reato di condotta istantanea che si è consumato con il comportamento di fuga posto in essere dall’imputato, mentre i militari che lo avevano fermato in evidente stato di ebbrezza stavano provvedendo ad organizzare le prove alcolimetriche; e non può considerarsi certo assorbito bensì concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale».
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