Questo vale anche nel compimento di attività pericolose (come ad esempio quella avente a oggetto la collocazione di un cavo d’acciaio trasversalmente alla sede stradale) attuate mediante l’immissione di un veicolo nella circolazione sulla via pubblica; e ciò anche qualora, come nel caso di specie, il responsabile abbia determinato una situazione di pericolo per la circolazione stradale attraverso un’utilizzazione solo marginale o accessoria delle proprietà dinamiche del veicolo (come quella di distendere ed eventualmente riavvolgere un cavo acciaio sul verricello del medesimo veicolo), trattandosi in ogni caso di attività che appaiono legate, sia pure in via indiretta o mediata, al compimento di atti di movimentazione di veicoli o di sue parti compiuti nel quadro della circolazione stradale.
La Cassazione richiama l’orientamento della stessa corte per cui “sotto l’aspetto operativo/funzionale, qualsiasi atto di movimentazione di un veicolo o di sue parti deve ritenersi posto in essere in funzione del suo avvio nel flusso della circolazione, con la conseguenza che, quando avvengano sulla pubblica via, danno luogo all’applicabilità della normativa sull’assicurazione per la R.C.A.”.
“Anche in tali situazioni, infatti, – continuano i giudici della Suprema Corte – il veicolo si trova in una situazione riconducibile al concetto di circolazione e il conducente deve essere costantemente in grado di intervenire per evitare danni o pericolo di danni, oppure deve porre in essere accorgimenti tali da escludere, nei limiti del prevedibile, la possibilità che tali eventi si verifichino. La pericolosità di un veicolo, infatti, non si relaziona solo con gli eventi tipici della circolazione (marcia, sosta, partenza, ecc.), ma è correlato all’insieme delle specificità che lo caratterizzano e che, nella loro globalità – comprensiva, cioè, anche di speciali operazioni che ne caratterizzano la funzione – interferiscono con la presenza di cose e pedoni, allorché vengano poste in essere nelle aree destinate alla circolazione”.
Consulta la Sentenza della Corte di Cassazione n. 21097 del 19.10.2016
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