La prima sentenza è quella della Corte dei conti dell’Umbria (ordinanza n. 76/2018) secondo la quale il legislatore sarebbe intervenuto in materia con eccesso di delega, prevedendo che il danno all’immagine, la cui quantificazione spetta in via equitativa al giudice contabile, sia stabilita in un importo minimo non proporzionato (il caso ha riguardato la violazione di un ora di servizio pari a 64,81 euro a fronte di un danno all’immagine quantificato dal legislatore in un minimo di sei mensilità pari a circa 20.000 euro).
La seconda a circa un anno di distanza, è la sentenza n.213/2019 della Corte siciliana, la quale ha preferito azzerare il danno all’immagine di un dipendente per le poche ore di violazione della propria presenza in ufficio, considerando che il minimo di sei mensilità previsto dal legislatore può solo considerarsi quale parametro utile alla quantificazione del danno stante la natura estremamente astratta e intangibile del bene leso, per assicurare proporzionalità, certezza e omogeneità delle decisioni.
La Corte Costituzionale con la sentenza n.61/2020, accogliendo le motivazioni dei giudici contabili umbri, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016.
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