Pubblica sicurezza: quali sono i presupposti per l’applicazione del cosiddetto daspo “Willy”?

Approfondimento di Adolfo Antonio Bonforte

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Quali sono i presupposti per l’applicazione del cosiddetto daspo “Willy”?

Il “DASPO Willy”, descritto come una “misura di prevenzione personale atipica”, è uno strumento che impedisce a chi si macchia di violenza di accedere alle manifestazioni sportive. È considerato un ampliamento del DASPO urbano e del DASPO tradizionale.

L’articolo 11, lettera b) del decreto legge 130/2020 ha riformulato integralmente il primo comma dell’articolo 13 bis, introducendo, inoltre, i commi 1 bis e 1 ter. Si tratta del cosiddetto “DASPO Willy”: è una “misura di prevenzione personale atipica” ed è uno strumento, diretto discendente del DASPO, che impedisce a chi si macchia di violenza di accedere alle manifestazioni sportive, nonché discendente del DASPO urbano, di cui viene considerato un ampliamento.

In particolare:

il comma 1 stabilisce che il Questore può disporre il divieto di accesso a pubblici esercizi o locali di pubblico trattenimento “nei confronti delle persone denunciate, negli ultimi tre anni, per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi o in locali di pubblico trattenimento ovvero nelle immediate vicinanze degli stessi, o per delitti non colposi contro la persona o il patrimonio ovvero aggravati ai sensi dell’articolo 604ter del codice penale oppure per i reati di cui all’articolo 4 legge 110/1975 o per i reati di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale, qualora dalla condotta possa derivare un pericolo per la sicurezza”. La medesima misura può essere disposta, per motivi di sicurezza, “anche nei confronti dei soggetti condannati, anche con sentenza non definitiva, per taluno dei predetti reati”. Pertanto, anche in tale ipotesi l’Autorità di P.S. può adottare il provvedimento senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ovvero la conferma, in grado di appello, della condanna di primo grado del soggetto;

il comma 1 bis prevede un’ipotesi “aggravata”, che risulta applicabile alle persone “… che, per i reati di cui al comma 1, sono state poste in stato di arresto o di fermo convalidato dall’autorità giudiziaria o sottoposte a una delle misure cautelari di cui agli articoli 284 e 285 del codice di procedura penale, ovvero sono state condannate, anche con sentenza non definitiva …”. Nei confronti di tali soggetti, “… il Questore può disporre il divieto di accesso ai pubblici esercizi o ai locali di pubblico trattenimento presenti nel territorio dell’intera provincia …”. Tale riferimento ricomprende sia i “reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi o in locali di pubblico trattenimento”, che i “delitti non colposi contro la persona o il patrimonio ovvero aggravati ai sensi dell’articolo 604 ter del codice penale”. Si evidenzia che nel comma non è stato inserito il perimetro temporale degli “ultimi 3 anni”, dovendosi, pertanto, ritenere che la condanna, l’arresto o il fermo possano essere anche precedenti;

i commi 2 e 3 prevedono che il divieto di accesso/stazionamento possa essere limitato a specifiche fasce orarie, non possa avere una durata inferiore a un anno né superiore a tre anni, possa essere disposto anche nei confronti di soggetti minori ultraquattordicenni (deve essere notificato a coloro che esercitano la potestà genitoriale), continui a dover essere disposto individuando “modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario”;

il comma 4 consente al Questore di prescrivere ai destinatari del provvedimento e per un periodo della durata massima di due anni, di comparire personalmente una o più volte, negli orari indicati, nell’ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza, o in quello specificamente indicato. In quest’ultimo caso, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 6, commi 3 e 4, della legge 401/89 (comma 5);

il comma 6 prevede che “La violazione dei divieti e delle prescrizioni di cui al presente articolo è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 a 24.000 euro”.

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