I primi mesi di quest’anno hanno impresso alla nostra storia, di uomini e imprenditori, un profondo senso di cambiamento, dando nuova luce, al valore di sapersi adattare. Imprese e cittadini hanno dovuto cambiare in corsa stili di produzione e di vita per fronteggiare un evento epocale che ci vede ancora condizionati, seppur determinati al riscatto.
Ci apprestiamo, ora, a vivere un autunno inedito e che si preannuncia gravido di incertezze; una stagione in cui, volenti o nolenti, avremo il dovere di tracciare nuove rotte, mettendo intorno a un tavolo le migliori energie del Paese.
Sono molti i capitoli da scrivere per l’Italia che verrà, ma se da qualche parte occorrerà pur iniziare in quest’opera non più procrastinabile, la pietra angolare dovrà a mio avviso essere il sistema fiscale.
Nella delicata fase che stiamo vivendo, abbiamo appreso ancor meglio che la sopravvivenza di una comunità dipende dalla solidità, anche economica, che riesce a esprimere. Tale solidità prende spesso la forma e la consistenza delle risorse pubbliche ed è, di conseguenza, legata a doppio filo al sistema tributario.
Per quanto concerne il nostro Paese, quello fiscale è senz’altro uno degli ambiti che più ha risentito di una produzione normativa convulsa e di una programmazione assente. Abbiamo capito che le politiche fiscali fino a oggi non hanno avuto gli effetti sperati. Infatti, i micro-bonus hanno costruito un sistema parcellizzato che non sta funzionando, mentre ci aspettiamo ripercussioni positive da eco-bonus e sisma-bonus al 110%, che invece costituiscono un’operazione che scarica a terra i suoi effetti in maniera massiva e per diversi settori. Serve quindi un rinnovamento che parta dai pilastri del sistema fiscale e lo modernizzi rendendolo competitivo in un mondo che continuerà a cambiare e a subire shock.
Con ottimismo e curiosità abbiamo accolto la ripresa dei lavori sulla tassazione diretta e in particolare su un possibile ridisegno dell’Irpef. Da questa imposta deriva circa il 40% delle entrate tributarie. Quasi 200 miliardi di euro l’anno, cui è legata la capacità di spesa dello Stato e, in sottrazione, quella dei cittadini di rilanciare, in un momento critico, un ciclo di consumi che alimenti la ripresa. I malanni di questo tributo sono noti, a partire dall’erosione della progressività, passando per i vizi di equità, che si sono acuiti nel tempo. Il coacervo di imposte sostitutive, cedolari, regimi speciali e agevolazioni va sottoposto a una attenta opera di riorganizzazione, ma in quale direzione? In questo contesto non va trascurato il tema della semplificazione degli adempimenti, per non costringere ulteriormente le imprese a distrarre risorse scarse per gestire – a titolo gratuito – rebus amministrativi in qualità di sostituti di imposta.
Occorre essere chiari sul fatto che agire sull’Irpef non sarà in ogni caso sufficiente. Un intervento una tantum, sebbene sul principale tributo italiano, non risolverà le profonde discrasie che connotano il sistema nel suo complesso.
L’azione di riorganizzazione dovrebbe estendersi alla tassazione delle imprese, sempre seguendo la stella polare della semplificazione. Un buon inizio sarebbe quello di abbandonare l’Irap, un’imposta sopravvissuta a sé stessa con un ruolo ormai vestigiale nel finanziamento della sanità pubblica. Contemporaneamente servono risposte all’annoso tema delle lungaggini nei rimborsi fiscali che drenano liquidità alle imprese. Andrebbero, poi, rafforzati gli incentivi a investimenti e patrimonializzazione delle imprese, calibrando sapientemente misure di carattere temporaneo, a interventi strutturali e di lungo periodo, migliorando le misure esistenti.
Vale una menzione anche il tema della fiscalità locale, oggi dispersa in mille rivoli sempre più bisognosi di una ricomposizione coerente.
Un piano credibile di riforma non potrà dirsi tale senza un coerente disegno di contrasto al grande vulnus dell’evasione. Le strette su compensazioni e rimborsi, le norme fiscali che, senza senso, imbrigliano le procedure di gara, l’inasprimento sanzionatorio fine a sé stesso non hanno funzionato e verosimilmente non funzioneranno. Occorre il coraggio di intraprendere con decisione strade nuove, valorizzando gli istituti cooperativi e utilizzando – senza oneri ulteriori per i contribuenti e con le più moderne tecnologie – un patrimonio informativo enorme e in crescita, già nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria.
La precondizione per qualsiasi riforma fiscale è una macchina amministrativa più efficiente, che valorizzi le migliori competenze al suo interno, dando rapida attuazione degli indirizzi di politica fiscale e gestendo la fiscalità anche in situazioni eccezionali.
Dobbiamo puntare sul nostro sistema fiscale e abbiamo l’opportunità per farlo davvero, sorretti da una solidarietà europea senza precedenti che ci impone riforme coraggiose, condizionate dalla nostra capacità di riprendere un cammino di crescita. Serviranno impegno e responsabilità, perché anche sulla nostra credibilità si costruirà la prospettiva di un’Unione Europea più coesa, capace di intrecciare stabilmente una rete di solidarietà sovranazionale nelle vesti di una fiscalità comune.
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