L’ordine di allontanamento ed il divieto di accesso alla luce della legge 18 aprile 2017, n. 48 (prima parte)

Massimo Ancillotti esamina le nuove norme introdotte con il decreto sicurezza (legge 18 aprile 2017, n. 48): focus sulla disciplina dell’ordine di allontanamento. (prima parte)

8 Maggio 2017
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Il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 è stato definitivamente convertito in legge e dal 22 aprile 2017 è perfettamente in vigore, anche nelle parti modificate in sede di conversione. Non è questa la sede per ripetere i dubbi, le incertezze e la sostanziale inutilità di un provvedimento legislativo che, come diceva mio nonno, purifica, scalcagnifica e ti lascia come ti trova. Del resto, già prima della originaria pubblicazione del decreto-legge, proprio su questa rivista, abbandonando il ruolo di piccolissimi e modestissimi tecnici del diritto, avevamo sottoposto in valutazione dei colleghi una serie di considerazioni critiche sulla portata e sulla effettiva utilità pratica del provvedimento.

Tralasciamo in questo approfondimento anche l’analisi di tutte le altre questioni che il decreto sicurezza ripropone e che saranno oggetto (già lo sono) di fiumi di commenti soprattutto in relazione alla nuova strutturazione, invero un po’ caotica e con confini sfumati e sovrapponibili, del nuovo potere di ordinanza del Sindaco e concentriamo l’attenzione, in questa sede sugli istituti che, alle nostre latitudini operative, costituiscono, verosimilmente, l’aspetto di gran lunga più importante e foriero di incertezze dell’intero pacchetto sicurezza: l’ordine di allontanamento ed il divieto di accesso.

E’ il Capo II del decreto-legge a contenere le disposizioni di nostro interesse, ampollosamente definite di “tutela e sicurezza delle città e del decoro”. L’articolo 9 rappresenta il punto centrale dell’intero pacchetto di riforma e contiene la descrizione dei precetti da cui origina l’ordine di allontanamento e il successivo articolo 10 contiene poi la descrizione delle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla sua inosservanza e descrive i contenuti del sottostante divieto di accesso.
Con andamento operativo e schematico, proviamo ad affondare la lama all’interno di questi due istituti.

Ordine di allontanamento

La disciplina dell’ordine di allontanamento è contenuta nell’articolo 9, commi 1, 2 e 3 e 10, comma 1, del decreto legge in conseguenza della sua conversione in legge. La norma contiene tre diverse ipotesi in presenza delle quali è possibile l’attivazione dell’ordine di allontanamento.

1^ ipotesi

L’articolo 9, comma 1, illustra il precetto base alla cui violazione è collegata la prima ipotesi possibile di attivazione dell’ordine di allontanamento.

La norma punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da €. 100 a €. 300 (PMR €. 100) chiunque ponga in essere condotte che impediscono la libera accessibilità e la fruizione delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti.
In sintesi:

soggetto attivo:

  • chiunque (soggetto attivo generico della violazione può essere qualsiasi persona fisica o giuridica, anche se, onestamente, ci riesce difficile immaginare una persona giuridica parte attiva di una delle violazioni di che trattasi);

condotta:

  • ponga in essere condotte che impediscono la libera accessibilità e fruizione. Siamo quasi di fronte ad una norma amministrativa in bianco perché non c’è una precisa perimetrazione del comportamento vietato, trattandosi di un complesso di condotte legate dalla astratta potenzialità di impedire l’accessibilità e fruizione delle infrastrutture di cui sotto. Rispetto alla originaria formulazione del decreto-legge è scomparso il riferimento a condotte meramente limitative ed oggi il comma 1 precisa che l’ordine di allontanamento è disposto solo quando siano state accertate condotte che, al sussistere degli altri presupposti richiamati dalla norma, impediscono (prima la norma parlava anche di mere limitazioni) l’accessibilità e la fruizione delle infrastrutture e dei luoghi indicati. Evidente che tale modifica, almeno in relazione alla ipotesi di cui al comma 1, limita e non di poco la possibilità di accertare violazioni e di disporre l’ordine di allontanamento. Sarà necessario – e potremo farlo verosimilmente anche a livello di norme regolamentari – precisare cosa debba intendersi per condotte che impediscono, espressione che ad oggi, per tuziorsimo operativo, deve essere intesa nel senso fatto palese dalla sua proposizione letterale. Quantomeno in termini di proposta operativa, però, si suggerisce di inserire nei vari regolamenti di polizia urbana l’indicazione di specifiche condotte che, prese in esame come singole ipotesi di violazione, siano già di per se’ tali da integrare la nozione di impedimento ovvero che in termini più ampi e omnicomprensivi forniscano in concreto le dimensioni dell’espressione di impedimento con uno specifico articolato normativo che potrebbe, per esempio, strutturarsi come segue:
    Ferma rimanendo la declinazione del contenuto specifico dell’espressione “impedimento alla fruizione” indicata negli articoli……..ai fine del presente Regolamento e della adozione delle sanzioni e delle misure indicate nell’articolo 9, comma 1, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, per impedimento alla fruizione si intende qualsiasi altro comportamento che, a prescindere ed oltre i limiti oggettivi proposti dalla mera interpretazione letterale, rende particolarmente gravosa la fruizione di taluno dei luoghi indicati, in riferimento ad un visibilità e percettibilità delle bellezze naturali e culturali della città, anche in conseguenza di comportamenti impeditivi o oppositivi posti in essere da altri potenzialmente idonei ad arrecare turbamento alla destinazione del bene tutelato.
    Certo è che rispetto alla originaria formulazione la condotta appare meno generica, atteso che l’impedimento si presenta più concreto e definibile di una mera limitazione.
  • delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano e delle relative pertinenze.

La condotta vietata, quindi, deve avere questa specifica finalizzazione, ossia impedire la fruizione, l’accesso ecc. a quelle specifiche infrastrutture, divenendo attività non vietata, sempre che non sanzionata da altre normative, ove svolta al di fuori di questi contesti geografici.
Ai fini della migliore comprensione della norma si specifica che per infrastrutture deve intendersi l’insieme di strutture secondarie e complementari di una struttura di base, necessarie affinché quest’ultima possa funzionare. A titolo di esempio in tale nozione rientrano, quindi, le stazioni della ferrovia e delle metropolitane compresi binari, i convogli dei treni e delle metropolitane, e le aree di parcheggio, e le vie di accesso nonché le stazioni e le fermate del servizio pubblico di trasporto su gomma.
Ma non basta. Per aversi integrazione di tutti gli elementi oggettivi della fattispecie in osservazione occorre ulteriormente che i comportamenti impeditivi oggetto della violazione amministrativa siano già essi stessi:

  1. in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti.

Occorre, quindi, che i comportamenti oggetto della violazione, oltre ad impedire la libera fruizione delle infrastrutture indicate, devono essi stessi già di per sé rappresentare un divieto previsto da leggi, nazionali o regionali, o atti normativi locali (regolamenti od ordinanze), anche interni. Deve, cioè, trattarsi di una violazione già prevista espressamente da norme di legge o regolamento o da atti interni che, oltre a prevedere la loro eventuale specifica e separata verbalizzazione (salvo non siano rappresentate da norme interne non sanzionabili da organi pubblici), determinino l’integrazione della ulteriore violazione in esame.
In concreto, quindi, per contestare la violazione di cui all’articolo 9, comma 1, occorre accertare l’esistenza dei seguenti tre presupposti:

  1. violazione di una norma (nazionale, regolamentare, locale od anche interna) che vieti lo stazionamento o l’occupazione di spazi. Ove non si tratti di mera normativa interna (per esempio della infrastruttura aeroportuale o ferroviaria ecc.) si procede prima di tutto con la contestazione di tale violazione;
  2. violazione accertata in uno dei luoghi presi in esame dalla norma, ossia infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e relative pertinenze;
  3. accertamento che la condotta di cui al punto a) impedisce, nel senso fatto sopra palese, l’accessibilità e la fruizione dei luoghi di cui al punto b).

In questo conteso dobbiamo chiederci se le due violazioni determinino o meno una ipotesi di concorso reale od apparente di violazioni. Ad avviso di chi scrive si tratta di condotte diverse che non possono che essere combinate all’interno del quadro normativo del concorso reale. Diversi, oltre ai comportamenti posti in essere, anche i profili di tutela: una cosa è, per esempio, la tutela del suolo pubblico, da occupare solo all’esito di ben determinate procedure, altro è l’impedimento alla accessibilità ed alla fruibilità delle infrastrutture che con tale occupazione si determina: concorso reale, quindi, e non apparente con necessità di doppia, separata verbalizzazione.

La corretta contestazione della violazione di che trattasi comporta obbligatoriamente l’applicazione dell’ordine di allontanamento. Nessuna facoltà discrezionale, quindi, ma solo obbligo, direttamente conseguente, agli accertamenti delle violazioni di cui sopra, cosa questa che giustifica l’inquadramento della misura di che trattasi nello schema delle sanzioni principali.
La norma dispone, infatti, che contestualmente all’accertamento della condotta illecita, al trasgressore viene ordinato, nelle forme e con le modalità di cui all’articolo 10, l’allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto. Vedremo più oltre come deve essere eseguito tale provvedimento, in ogni caso rimesso alla competenza operativa del verbalizzante.