Imposta comunale sulla pubblicità

La Corte Costituzionale conferma la legittimità del comma 739 dell’articolo 1 della legge 208/2015 che statuisce che l’abrogazione della facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà.

9 Febbraio 2018
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La Corte Costituzionale, con sentenza n. 15/2018, conferma la legittimità del comma 739 dell’articolo 1 della legge 208/2015 che statuisce che: “l’articolo 23, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui abroga l’articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, relativo alla facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del predetto articolo 23, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012″.

La disposizione, invece, si limita a precisare la salvezza degli aumenti deliberati al 26 giugno 2012, tenuto conto, tra l’altro, che a tale data ai Comuni era stata nuovamente attribuita la facoltà di deliberare le maggiorazioni. Era dunque ben possibile che essi avessero già deliberato in tal senso. Di qui la necessità di chiarire gli effetti dell’abrogazione disposta dal d.l. n. 83 del 2012, precisando che la stessa non poteva far cadere le delibere già adottate e che il 26 giugno del 2012 era il termine ultimo per la validità delle maggiorazioni disposte per l’anno d’imposta 2012.

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