Auto incustodita e aperta: no all’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede

Approfondimento di Cino Augusto Cecchini

17 Giugno 2022
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L’autovettura era stata parcheggiata sulla pubblica via lasciata aperta e con due telefoni cellulari lasciati in bella vista dal proprietario del veicolo e l’imputato si era impossessato sia dell’auto sia dei telefonini, e per questo era stato condannato per furto aggravato.

Ha lamentato in sede di ricorso in Cassazione che il reato non doveva essere rubricato quale furto aggravato, ma piuttosto come furto semplice, poiché il proprietario aveva lasciato l’auto aperta, consentendogli con ciò un facile accesso.

Hanno evidenziato i Giudici della Suprema Corte che il furto di un’autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via, con le portiere aperte e la chiave inserita nel quadro di accensione, deve essere considerato aggravato per la esposizione alla pubblica fede, ai sensi dell’articolo 625, comma 1, n. 7, c.p. solamente quando si accerti che il conducente si è determinato a lasciare il mezzo nelle condizioni predette a causa di una contingente necessità e non per mera comodità o trascuratezza.

I Giudici del Palazzaccio hanno sottolineato che era stato ancora affermato che la necessità dell’esposizione deve essere intesa non in senso assoluto, come impossibilità della custodia da parte del titolare bene, bensì relativo, cioè in rapporto alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto a lasciare le proprie cose incustodite (Sez. 4, sent. n. 45488 dell’8 luglio 2008, Rv. 241988), in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza.

Avendo, quindi, gli Ermellini escluso la contestata aggravante, ed essendo stata rimessa la querela, hanno dichiarato il reato estinto, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Pertanto, in casi analoghi, la Polizia Giudiziaria, in sede di approntamento degli atti da inviare alla competente Procura della Repubblica, dovrà sempre vergare un verbale di denuncia-querela in modo che sia possibile la procedibilità d’ufficio anche qualora non venga contestata l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede.

 

IL CASO

L’imputato ha impugnato la sentenza che l’aveva riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 624, 625 n. 7 c.p. poiché si era impossessato, al fine di trarne profitto, di un’autovettura, parcheggiata sulla pubblica via e lasciata aperta e di due telefoni cellulari, sottraendoli al legittimo proprietario.

Per perorare il suo ricorso aveva formulato due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo si doleva del vizio di motivazione. Osservava che la Corte aveva fondato la penale responsabilità dell’imputato, travisando le prove, ed in particolare le dichiarazioni di un presunto teste oculare che non aveva mai fatto un formale riconoscimento dell’imputato, limitandosi a dire che il ragazzo ritratto dalle telecamere di sorveglianza si chiamava XXXX, senza specificare nome, cognome ed età, ed indicando un indirizzo vicino alla caserma della Finanza, benché l’imputato fosse senza fissa dimora. Fra l’altro, il veicolo sottratto era stato ritrovato a diversi chilometri di distanza, mentre il teste, in realtà, non conosceva affatto l’autore del furto, e forniva elementi non determinanti alla sua identificazione, quali altezza ed età.

Con il secondo motivo si doleva dell’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 625, n. 7, c.p., osservando che il furto aggravato doveva essere derubricato in furto semplice, per avere il proprietario lasciato l’auto aperta, consentendo così il facile accesso, con la conseguenza che, essendo stata rimessa la querela, doveva essere dichiarato non procedibile il reato.

Il ricorrente concludeva domandando l’annullamento della sentenza impugnata.

Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione aveva chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

 

COSA HA DETTO LA CORTE DI CASSAZIONE

 

Cass. Pen. sez. IV, ud. 10 maggio 2022 (dep. 31 maggio 2022), n. 21070

Il primo motivo è stato giudicato inammissibile dai Giudici della Suprema Corte in quanto si risolveva nella richiesta di rivalutazione del quadro probatorio, il cui vaglio è sottratto al giudice di legittimità. Hanno osservato, d’altro canto, che i giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio avevano escluso la sussistenza di una plausibile versione alternativa dei fatti, compiutamente motivando sulla loro ricostruzione. La Corte di Appello, invero, lungi dal travisare le dichiarazioni del teste aveva rilevato che il medesimo, visionando i filmati, aveva riconosciuto con sicurezza l’imputato, indicandone il nome, e chiarendo che egli lavorava con lui presso un’azienda agricola. Sicché l’identificazione dell’imputato doveva ritenersi, secondo il giudice, assolutamente certa.

Ma gli Ermellini hanno riconosciuto, invece, che il secondo motivo era fondato.

Hanno evidenziato i Giudici della Suprema Corte che deve essere data continuità all’orientamento espresso dalla Sezione, secondo cui “… Il furto di un’autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via, con le portiere aperte e la chiave inserita nel quadro di accensione, deve considerarsi aggravato per la esposizione alla pubblica fede, ai sensi dell’articolo 625, comma 1, n. 7, solo quando si accerti che il conducente si è determinato a lasciare il mezzo nelle condizioni predette a causa di una contingente necessità e non per mera comodità o trascuratezza. (Sez. 4 n. 12196 del 11/01/2017, Rv. 269393)”, discostandosi dal contrario indirizzo secondo cui nel caso di furto di autoveicolo lasciato incustodito sulla pubblica via, la circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede, non presupponendo la predisposizione di un qualsiasi mezzo di difesa avverso eventuali azioni criminose, deve ritenersi sussistente anche nell’ipotesi in cui il detentore, per qualsiasi motivo, non abbia chiuso a chiave la serratura degli sportelli e abbia lasciato la chiave di accensione inserita nel cruscotto (Sez. 5, Sentenza n. 22194 del 06/12/2016 Ud. (depositata 08/05/2017) Rv. 270122; Sez. 4, sent. n. 41561 del 26 ottobre 2010, Rv.248455).

Come già osservato, infatti “La ratio della maggior tutela alle cose esposte alla pubblica fede per necessità o per consuetudine o per destinazione, è stata ricercata e vista nel fatto che esse sono prive della custodia da parte del proprietario, sicché la proprietà o anche il mero possesso di esse ha come presidio soltanto il senso del rispetto da parte di terzi”. Dunque, per “pubblica fede” deve essere inteso il senso di affidamento verso la proprietà altrui, sul quale ripone la propria fiducia colui il quale deve lasciare la cosa, anche solo temporaneamente, incustodita (Sez.4, sent. n. 5113 del 01 febbraio 2008, Rv.238742).

Hanno evidenziato i Giudici del Palazzaccio che era stato ancora affermato che la necessità dell’esposizione deve essere intesa non in senso assoluto, come impossibilità della custodia da parte del titolare bene, bensì relativo, cioè in rapporto alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto a lasciare le proprie cose incustodite (Sez. 4, sent. n. 45488 dell’8 luglio 2008, Rv. 241988), in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza.

Essendo allora, quello della necessità dell’esposizione delle cose alla pubblica fede un concetto astratto ed essenzialmente relativo, occorre un atto logico, da parte del giudice di merito, di valutazione del comportamento concreto del soggetto passivo in rapporto al detto concetto di necessità, secondo la comune accezione, distinguendolo da quelli di comodità o di trascuratezza nella custodia delle proprie cose.

La necessità è dunque antinomica rispetto alla trascuratezza nella vigilanza. E che si tratti di due concetti contrapposti si trae da alcune pronunce in tema di furto di oggetti che si trovino all’interno di un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via.

In tale evenienza si è, infatti, distinto tra oggetti costituenti parte integrante del veicolo, ovvero oggetti solo temporaneamente od occasionalmente lasciati nell’auto: nel primo caso, sussiste l’aggravante dell’articolo 625, comma 1, n. 7, c.p., nel secondo invece, ai fini della configurabilità dell’aggravante, deve essere accertata la ricorrenza di una situazione di contingente necessità, tale da indurre il possessore a confidare nella buona fede dei consociati e nel rispetto delle cose altrui che dagli stessi è lecito pretendere, necessità da intendersi in senso relativo e non assoluto, che comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione appunto agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza.

Ne consegue che il giudice deve, in tale caso, dare conto delle speciali ragioni che, in base alle circostanze concrete, hanno reso necessitata la custodia della cosa all’interno dell’autoveicolo (Sez. 5, sent. n. 15386 del 6 marzo 2014, Rv. 260216).

La consuetudine riguarda invece l’uso generale e costante di lasciare le cose incustodite, e dunque un comportamento imprudente che però è conforme ad una pratica di fatto generale e costante (Sez. 4 n. 12196 del 11 gennaio 2017, Rv. 269393).

Ciò detto, pertanto, essendo stata esclusa la contestata aggravante ed essendo stata rimessa la querela, la Corte di Cassazione ha dichiarato il reato estinto, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

 

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