IL CASO – Turni di lavoro nella Polizia Municipale

Orari di lavoro e di servizio: casi

Massimo Ancillotti 30 Luglio 2018
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Gli appartenenti ad un Servizio Autonomo di Polizia Locale effettuano lavoro in turno dal lunedì al sabato, ciascuno per complessive 36 ore, con i seguenti orari 1° turno: 7,30 -13,30 – 2° turno: 13,30 -19,30.

Premesso che in base al vigente Regolamento Comunale del Servizio di Polizia Locale è disposto che:

►l’orario individuale di lavoro del personale e l’orario del servizio di Polizia Locale è determinato ai sensi della vigente normativa contrattuale nazionale è stabilito da accordi sindacali con l’Amministrazione?

►quando ricorrono necessità imprevedibili e contingenti, per attività d’istituto, può essere disposto che il personale presti la propria opera anche per un orario superiore a quello indicato e in turni diversi da quelli ordinari?

► nel caso di manifestazioni (feste patronali, sagre) per le quali non sussiste certo l’imprevedibilità ma di sicuro l’esigenza di prevedere servizi, a tutela circolazione stradale per lo più serali e/o festivi, se è possibile modificare i turni strutturandone ad esempio uno dalle ore 18 alle ore 24 in sostituzione di quello ordinario pomeridiano dalle ore 13,30 alle ore 19,30.

Faccio rilevare che il ricorso al lavoro straordinario, con adesione su base volontaria, non ha trovato alcun riscontro da parte del personale. Seppure sia noto che l’orario di servizio debba essere funzionale alle esigenze di servizio si chiede dal punto di vista formale e gestionale quali atti debbano essere predisposti prima di ogni eventuale modifica del turno (occorre contrattare con le organizzazioni sindacali? Oppure è sufficiente comunicarlo?).

Tenendo conto che il servizio di polizia locale (con oltre 7 addetti) è strutturato con un Comandante titolare di posizione organizzativa ma con un dirigente amministrativo, chi deve adottare l’atto di modifica del turno? E’ necessario anche un atto d’indirizzo politico?

Risposta

Il quesito proposto rappresenta, a livello di gestione del personale, “la madre di tutti i quesiti”.
Lo scrivente opera da anni nel comune con il più alto numero di operatori in Italia e posso confermare che il quesito proposto non ha mai trovato una soluzione che consenta la definitiva quadratura del circolo.
In linea generale gli orari di lavoro e di servizio sono definiti in ambito di contrattazione collettiva nazionale e poi declinati nel dettaglio a livello decentrato o nei singoli regolamenti comunali di gestione del servizio.
In queste sedi si tratta di indicazioni di massima che non tengono conto della necessità di adeguare l’orario di servizio (nel rispetto di quello di lavoro) alle esigenze locali o contingenti. E’ altrettanto ovvio cioè che se si presta servizio in un comune che ha esigenze prioritarie, per fare un esempio, dalle 20,00 alle 24,00, è conseguenziale strutturare l’orario di servizio in modo tale da soddisfare in via ordinaria la copertura di quella fascia oraria. Ma non è questo che crea difficoltà, perché in presenza di precodificate esigenze è semplice strutturare orari di lavoro adeguati, all’esito delle previste consultazioni con la parte sociale.
Oggi l’articolo 5 del vigente contratto collettivo prevede l’istituto del confronto – una sorta di riesumazione della vecchia concertazione – che in qualche modo delinea una sorta di filtro tra la iniziativa datoriale e l’adozione del provvedimento definitivo che in ogni caso – e questo è bene averlo chiaro – non prevede alcuna necessità di consenso condiviso. Fra l’altro è proprio l’articolo 5, comma 2, a consegnare all’istituto del confronto l’articolazione delle tipologie dell’orario di lavoro.
Quindi, laddove si debba ipotizzare un cambiamento a regime dell’orario di lavoro prevedibile, è questa la strada da percorrere.
Ma è proprio qui che si deve avere l’accortezza di inserire la previsione della possibile soluzione del problema.
E’ cioè attraverso questa consultazione provocata che è necessario inserire, a regime, una norma che preveda la soluzione dei casi non prevedibili, istituzionalizzando un potere del responsabile del servizio o del dirigente che, pur esistendo certamente a prescindere di qualsiasi specifica regolamentazione locale essendo connesso con il generico potere di impiego tecnico-operativo del personale ad esso affidato in generale dal d.lgs. 165/2001 e in particolare, dalla legge-quadro 65/86, si appalesi sussistente in modo espresso e soprattutto confrontato con la parte sociale anche a livello locale.
Procedendo per esempio si potrebbe ipotizzare che in caso di imprevedibili esigenze concrete il responsabile del servizio, dovendo assicurare presenza di operatori in orari non canonici, per prima cosa verifica la possibilità di supplire alla carenza di personale con prestazioni di lavoro straordinario – che è e resta a partecipazione volontaria[1] – e, in caso negativo, avverte con nota scritte le organizzazione sindacale e dispone, per il tempo strettamente necessario, autonomamente in orario ordinario turni di lavoro diversificati.
In mancanza di una previsione di questo tipo si potrebbe correre il rischio di diventare ostaggio della partecipazione volontaria a turni di lavoro straordinari, talvolta utilizzati come atipico e improprio strumento di pressione.

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[1] Ancorché, ad avviso di chi scrive, diventi obbligatoria e soggetta a tutela penale ove l’esigenza da cui scaturisce sia derivata da fatti accaduti in turno di servizio derivata o ancorata a eventi del tutto straordinari ed eccezionali che impongano presenza a tutela della pubblica e privata incolumità

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