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La responsabilità formativa come criterio di valutazione dirigenziale
La direttiva ministeriale emanata il 14 gennaio 2025, comunemente indicata come “direttiva Zangrillo”, ha innestato nella pubblica amministrazione– comuni compresi – un principio di responsabilità formativa che incide direttamente sul giudizio di risultato dei dirigenti. Dal momento in cui lo standard delle quarant’ore annue di formazione è stato inserito tra gli obiettivi di gestione, il dirigente non può più limitarsi a curare il proprio aggiornamento professionale: egli è chiamato a far sì che ogni dipendente del suo ufficio, nessuno escluso, consegua lo stesso traguardo. In termini giuridici, la direttiva è un atto di indirizzo che, pur non avendo rango primario, si innesta sulle disposizioni del Testo unico del pubblico impiego e sul contratto collettivo delle funzioni locali, dove il dovere di formazione continua è già riconosciuto come strumento essenziale per la qualità dei servizi e la tutela dell’efficienza amministrativa. La novità sta nella quantificazione: quaranta ore l’anno, da certificare e collegare al ciclo della performance.
Obiettivi collettivi, premi e ricadute sulla performance
Il mancato completamento del monte ore da parte di un solo dipendente non comporta automaticamente una valutazione negativa per chi dirige, ma la direttiva pretende che l’obiettivo sia conseguito in termini di percentuale di personale in regola. Ciò significa che il giudizio sul dirigente muta da autoreferenziale a collettivo: non conta soltanto la diligenza individuale, bensì la capacità di governo del capitale umano. Se un ufficio comunale rimane sotto la soglia fissata, il sistema premiale subisce una riduzione proporzionale allo scostamento; nei casi di reiterata inadeguatezza, possono scattare le procedure previste dall’articolo 21 del decreto legislativo 165/2001, con effetti sulla conferma dell’incarico o, nei casi estremi, sulla sua revoca. Per evitare ricadute disciplinari ed economiche, il dirigente deve quindi predisporre un piano formativo coerente con i fabbisogni rilevati, calendarizzare per tempo le attività, garantire risorse e piattaforme e, soprattutto, documentare ogni azione di sollecito e recupero: solo così potrà dimostrare, in sede di valutazione, di avere messo i dipendenti nelle condizioni di partecipare e di avere fronteggiato con diligenza eventuali cause ostative, come lunghe assenze o annullamenti dei corsi.
Contenuti della formazione e criteri di ammissibilità
Quanto al contenuto delle ore, la direttiva non impone una rigidità settoriale. La formazione specialistica resta imprescindibile per preservare l’attualità delle competenze tecniche, ma l’amministrazione è tenuta a riconoscere anche percorsi trasversali, quali competenze digitali, soft skills, principi di etica pubblica, anticorruzione o temi legati alla transizione ecologica e al PNRR. La ratio è duplice: da un lato, accrescere la versatilità dei dipendenti; dall’altro, favorire l’omogeneità di linguaggio e valori nelle organizzazioni pubbliche. Ne deriva che un corso di etica o di comunicazione può valere al pari di un aggiornamento sul codice penale o sul codice della strada, purché il bisogno formativo sia stato motivatamente individuato e il corso risulti pertinente al miglioramento dei servizi o all’innovazione dell’ente. Restano fuori, per ovvia logicità, quelle iniziative prive di correlazione con la missione istituzionale o scelte unicamente per fare “volume”: l’obbligo quantitativo, infatti, non può tradursi in logiche elusive della finalità della direttiva.
Quando alcuni dipendenti non raggiungono le quarant’ore per ragioni non imputabili al dirigente – si pensi a congedi parentali, malattie di lunga durata, emergenze che impongono la sospensione dei corsi – la responsabilità dirigenziale si attenua se egli dimostra una pianificazione accurata e un monitoraggio costante, corredato da evidenze documentali. Analogamente, un leggero scostamento statistico in un ufficio molto numeroso non dovrebbe sfociare in un giudizio punitivo se l’andamento complessivo prova un avanzamento sostanziale e se esiste un progetto già definito per colmare le lacune nei primi mesi dell’anno successivo. In questa prospettiva, la direttiva non va interpretata come uno strumento di mera sanzione, bensì come un volano di qualità organizzativa e ciò che viene premiato è la capacità del dirigente di creare un ambiente di apprendimento diffuso, orientato al valore pubblico, per rendere la formazione un processo continuo anziché un adempimento episodico.
Pertanto, il dirigente comunale che intenda preservare la propria performance dovrà assumere un ruolo di regista, proponendo una analisi dei bisogni, la selezione di proposte formative mirate ma diversificate, il coinvolgimento motivazionale dei dipendenti, sistemi di tracciamento puntuali e rendicontazione trasparente delle eventuali criticità, fino anche all’applicazione di sanzioni disciplinari per i dipendenti che, senza giustificato motivo, non rispettino l’obbligo formativo. Così facendo, potrà dimostrare di aver adempiuto al dovere di coltivare il patrimonio umano dell’ente e di aver contribuito, attraverso la crescita professionale di tutti, a un’amministrazione più competente, reattiva e orientata all’interesse pubblico.
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Il Decreto P.A. e le procedure di accesso al pubblico impiego
In data 15 marzo 2025 è entrato in vigore il D.L. 14 marzo 2025, n. 25, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di reclutamento e funzionalità delle pubbliche amministrazioni”, c.d. Decreto P.A., poi convertito dalla Legge 9 maggio 2025, n. 69. La ratio della novella legislativa è evidenziata nel preambolo del testo normativo, allorché il legislatore richiama la straordinaria necessità e urgenza “di introdurre misure per l’attrattività dei giovani e il superamento del precariato nella pubblica amministrazione”, nonché “di definire misure volte a garantire la continuità e l’omogenea applicazione delle procedure di reclutamento e la funzionalità delle amministrazioni pubbliche, in particolare per quanto attiene alla sicurezza dei trasporti”. Capitolo a parte occupa il terzo presupposto di necessità e urgenza che giustifica l’intervento straordinario del Governo, vale a dire l’introduzione di misure organizzative per la funzionalità e l’efficienza di taluni settori della pubblica amministrazione.Grande è l’aspettativa ingenerata nei confronti delle modifiche legislative introdotte, anche a fronte delle dichiarazioni dello stesso Ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, che afferma che con tale legge “è stato raggiunto l’obiettivo di affrontare in maniera organica alcune criticità del sistema pubblico” e che “l’obiettivo è quello di costruire una macchina amministrativa sempre più efficiente e pronta ad affrontare con rinnovate competenze le sfide del contesto europeo”.Il volume fornisce una lettura degli articoli del D.L. 25/2025, anche alla luce dei lavori parlamentari e della nota formulata dall’ANCI, per soffermarsi successivamente sulla legge di conversione, in particolare sulle parti che sono state emendate; dopo una panoramica sulla riforma, il volume ripercorre l’intero iter procedurale delle modalità di accesso al pubblico impiego, a partire dall’inquadramento giuridico anche nell’ottica dei principi costituzionali, fino al momento della stipula del contratto di lavoro, alla luce delle innovazioni introdotte dal c.d. “Decreto P.A.” nel testo convertito in legge. All’analisi normativa si accompagna una rassegna delle più recenti e significative pronunce giurisprudenziali, degli orientamenti dell’ANAC e dell’ARAN, per fornire un quadro delle criticità e delle modalità applicative degli istituti giuridici connessi al pubblico impiego.Il volume è utile sia per gli operatori del settore, che possono avere un quadro aggiornato della riforma Zangrillo, sia per coloro che si preparano per i concorsi nella P.A., per l’approccio teorico pratico alla normativa del pubblico impiego.Ornella RossiSegretario Generale titolare di segreteria convenzionata, OIV, “privacy officer” certificata.
Ornella Rossi | Maggioli Editore 2025
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