Venditori ambulanti, tavoli e sedie sulle piazze, vietati perché non compatibili con la tutela del patrimonio culturale

Domenico Giannetta 19 Luglio 2012
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Con la Direttiva del 10 ottobre 2012 in Gazzetta Ufficiale n. 262 del 09/11/2012 “Esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra  attività non compatibile con le esigenze di tutela del  patrimonio  culturale” il Ministero dei Beni Culturali ha avviato un’azione di contrasto all’esercizio, nelle aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, di attività commerciali e artigianali, su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale.

Il Ministero si riserva di emettere ogni provvedimento necessario, dal divieto del commercio alla mera regolamentazione, al fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici rilevanti.

La motivazione che ha spinto il Ministro all’adozione della Direttiva è da rinvenirsi nell’esercizio diffuso e talora incontrollato di attività commerciali, nell’ambito di aree pubbliche di particolare valore storico, artistico e paesaggistico, che può determinare la compromissione delle esigenze di tutela del patrimonio culturale con effetti pregiudizievoli anche sullo sviluppo e la promozione del turismo culturale.

La disposizione ministeriale, «che non è una legge», si precisa dal dicastero, da indicazioni per contrastare maggiormente tutte le attività commerciali ambulanti e artigianali o su posteggio non compatibili con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, promosse dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Punto nodale della Direttiva firmata dal Ministro Ornaghi è dato dal fatto di voler colpire anche quei «posteggi, banchetti, strutture stabili o precarie di varia natura o tipologia» che pregiudicano la visuale di beni direttamente vincolati in quanto secondo il Ministro, è arrivato il momento di far rispettare il Codice Urbani e fornire, quindi, alle Soprintendenze, nonché indirettamente ai comuni, le indicazioni tecnico-operative per valorizzare il patrimonio di cui l’Italia è ricca.

La Direttiva prevede innanzitutto di effettuare una prima ricognizione dei complessi monumentali e degli immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici rilevanti, nelle cui adiacenze si svolgono attività commerciali su area pubblica. E ciò, al fine di valutare se sono state rispettate le prescrizioni poste e se le amministrazioni locali, nell’autorizzare il commercio su area pubblica, si sono attenute a quanto prescritto dall’art. 52 del Decreto Legislativo n. 42/2004 il quale stabilisce che “Con  le  deliberazioni  previste dalla normativa in materia di riforma della disciplina relativa al settore del commercio, i comuni, sentito il soprintendente, individuano  le aree pubbliche aventi valore archeologico,  storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio”.

Dal disposto normativo si evince che è competenza dei comuni individuare le aree nelle quali vietare, o sottoporre a particolari condizioni, l’esercizio dell’attività, come pure reprimere il commercio non autorizzato.

Un forte impatto è dato dal punto 3.2.1. della Direttiva dove è richiamato il fatto che le piazze, vie, strade e altri spazi aperti, se di proprietà pubblica, sono da considerarsi automaticamente vincolati qualora realizzati da oltre 70 anni con il divieto, quindi, del loro utilizzo per fini non compatibili tra i quali vanno fatti rientrare il commercio ambulante ma anche la concessione di suolo pubblico per installare tavolini e sedie.

Tutto questo fino alla verifica, «con esito negativo» dell’eventuale interesse culturale. Peraltro, precisa anche il Ministro, per le aree non soggette a specifico vincolo ma, «costituenti la cornice ambientale di beni culturali direttamente tutelati, si dovrà impedire che, specie mediante l’installazione di banchetti o strutture che dir si voglia, sia pregiudicata la visuale dei beni direttamente vincolati.

I Comuni per primi sono tenuti a condividere i contenuti della «direttiva decoro» anche se non va trascurato il fatto che destinataria del provvedimento è anche la «generalità dei consociati», in quanto titolare di un diritto di uso pubblico delle aree stesse, da esercitarsi nel rispetto delle prescrizioni e dei divieti impartiti a difesa del superiore interesse inerente la tutela dei beni».

La Direttiva tra l’altro richiama due pronunciamenti, rispettivamente della Corte costituzionale, Sentenza n. 247/2010 e del Consiglio di Stato, Sentenza n. 482/2011 con i quali viene posto in rilievo come le vie e le piazze appartengono, di fatto, al patrimonio storico-culturale e, in quanto tale ne devono trarre vantaggio i cittadini tutti. Le citate sentenze sanciscono che secondo un principio consolidato dell’ordinamento giuridico la tutela dell’interesse costituzionalmente primario inerente la tutela del patrimonio culturale assume carattere preminente rispetto agli altri interessi da ponderare, ivi incluso quello avente a oggetto l’esercizio di attività economiche private.

Si riporta di seguito il testo della direttiva

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI DIRETTIVA 10 ottobre 2012 (GU n. 262 del 9-11-2012 )

Esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale.

(Omissis) 

1. Finalità e destinatari

La seguente direttiva è finalizzata a impartire disposizioni agli Uffici al fine di contrastare l’esercizio, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, con particolare riferimento alla necessità di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini.

Uffici destinatari della presente direttiva sono il Segretariato generale, nell’esercizio dei propri  compiti  di coordinamento, nonché le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e le Soprintendenze, nell’esercizio delle rispettive competenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

2. Ricognizione dei provvedimenti già adottati e prima indicazione delle eventuali ulteriori esigenze di tutela

La prima attività indispensabile allo scopo di perseguire le finalità di cui al paragrafo 1 attiene alla compiuta e puntuale ricognizione delle esigenze di tutela e di valorizzazione, nonché dei provvedimenti già emanati al riguardo, al fine di consentire un’adeguata visione d’insieme delle prescrizioni di tutela vigenti in relazione all’ambito di riferimento della presente direttiva.

A tal fine, il Segretariato generale impartirà opportune disposizioni alle Direzioni regionali affinché queste  provvedano, coordinando le Soprintendenze di settore:

–   alla redazione di una prima ricognizione dei complessi monumentali e degli altri immobili del  demanio  culturale  interessati  da  flussi  turistici  particolarmente rilevanti,  nelle  cui adiacenze vengano esercitate attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante  o  su  posteggio,  nonché  qualsiasi  altra  attività  potenzialmente  lesiva  delle esigenze di tutela e valorizzazione; la prima ricognizione potrà essere utilmente raccolta in un elenco delle aree e dei beni interessati, suscettibile di successiva integrazione;

–   alla ricognizione dei provvedimenti di vincolo già emanati con riferimento ai suddetti beni e immobili, con la specificazione delle eventuali disposizioni già impartite recanti prescrizioni o divieti inerenti l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività, con o senza occupazione di suolo pubblico, non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale;

–   alla ricognizione, con riferimento ai  medesimi complessi e immobili, degli eventuali provvedimenti di divieto di commercio su aree pubbliche adottati dai Comuni, sentiti i Soprintendenti, ai sensi dell’articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;

–   alla rilevazione, sulla base di una prima sommaria valutazione, delle eventuali ulteriori esigenze di  tutela e  di  valorizzazione dei  beni in  argomento, che  non  possono essere adeguatamente soddisfatte mediante la sola puntuale applicazione delle misure già in vigore. I dati in argomento dovranno essere raccolti dalle Direzioni regionali e trasmessi al Segretariato generale.

 

 

3. Linee di intervento

A seguito della ricognizione operata, i competenti Uffici periferici interverranno nei contesti di criticità rilevati, assicurando anzitutto il puntuale rispetto delle prescrizioni di tutela già impartite dall’Amministrazione.

Di tale ricognizione verrà data opportuna notizia agli uffici delle Autonomie territoriali competenti. Sulla base dei risultati della ricognizione potrà essere avviata un’opportuna razionalizzazione di dispositivi di vincolo vigenti, per quanto attiene alle prescrizioni d’uso, al fine di integrarli e renderli coerenti con le sopravvenienze.

Ove le misure già vigenti non siano reputate sufficienti, gli Uffici porranno in essere le seguenti ulteriori azioni.

 

 

3.1. Regolamentazione del commercio nelle aree pubbliche

Un  fondamentale  ambito  di  intervento  per  il  conseguimento  della  finalità  indicata  al paragrafo 1 consiste nell’esercizio dei poteri affidati agli Uffici periferici del Ministero nell’attività di regolamentazione del commercio nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico.

Ai sensi dell’articolo  52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, compete invero ai Comuni, sentito il Soprintendente, l’individuazione delle aree aventi le caratteristiche sopra indicate nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio. Gli Uffici di questa Amministrazione si adopereranno quindi al fine di sollecitare l’esercizio da parte delle Amministrazioni locali dei poteri di regolamentazione del commercio sulle aree in argomento.

A tal fine, in particolare, i Soprintendenti, con il coordinamento del Direttore regionale, proporranno ai competenti Enti locali l’individuazione di aree per le quali vietare o sottoporre a condizioni l’esercizio del commercio, allo scopo di tutelare, in particolare, l’aspetto e  il  decoro dei complessi monumentali e  degli altri immobili del patrimonio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti.

Nello stesso senso, gli Uffici del Ministero collaboreranno con le Amministrazioni locali mediante  la   segnalazione  delle  attività  commerciali  o   ambulanti  che   si   svolgano illecitamente nelle aree in argomento, sollecitando l’esercizio dei poteri repressivi da parte delle  medesime Amministrazioni o,  ove  ne  sussistano i  presupposti, delle  Autorità  di pubblica sicurezza.

L’esercizio congiunto dei poteri in questione potrà essere opportunamente racchiuso nella forma dell’accordo tra pubbliche amministrazione volto a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

 

3.2. Adozione di specifici provvedimenti di tutela a difesa dell’aspetto e del decoro delle aree pubbliche d’interesse culturale o paesaggistico

In ogni caso, e indipendentemente dalle attività di collaborazione con i Comuni svolte ai sensi del precedente paragrafo 3.1, gli Uffici destinatari della presente direttiva, ciascuno per   quanto   di   propria   competenza,   valuteranno   la   necessità   di   adottare   appositi provvedimenti di tutela, nell’esercizio dei poteri previsti dalla Parte seconda del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In tale prospettiva, gli strumenti utilizzabili appaiono essere sostanzialmente due.

 

 

3.2.1. Disposizioni di divieto di usi non compatibili

In primo luogo, si rende possibile l’adozione, rispetto ai beni sottoposti a vincolo diretto di bene culturale, ai sensi dell’articolo 10, commi 1 e 3 e degli articoli 13 e ss. del Codice, di specifiche prescrizioni volte a vietare gli usi che appaiono non compatibili con il carattere storico o artistico dei beni, ai sensi dell’articolo 20 del medesimo Codice.

In proposito, si richiama l’attenzione degli Uffici destinatari della presente direttiva sulla previsione dell’articolo 10, comma 4, lettera g), del Codice. La suddetta disposizione – costituente una novità normativa rispetto alla legislazione previgente al Codice – include “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico” tra le cose da considerarsi ricomprese tra quelle indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a). Discende pianamente dalla lettura della prescrizione normativa citata, insieme a quelle di cui all’articolo 10, comma 1 e all’articolo 12, comma 1, del Codice, che, in ogni caso, anche tutte le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani per i quali non sia stato emanato un puntuale provvedimento di vincolo, ma appartenenti a soggetti pubblici e realizzate da oltre settanta anni, sono comunque sottoposte interinalmente all’applicazione del regime di tutela della Parte Seconda del Codice (e, quindi, anche alle previsioni del citato art. 20, comma 1), fino a quando non sia effettuata la procedura di verifica dell’interesse culturale di cui all’articolo 12 del Codice. Ne discende altresì, secondo i noti principi, che l’applicazione del regime speciale di tutela potrà cessare unicamente a seguito di svolgimento della procedura di verifica dell’interesse culturale con esito negativo.

Tali conclusioni, oltre a risultare dall’inequivoco disposto normativo, sono altresì supportate dagli orientamenti espressi dalla giurisprudenza, anche costituzionale. In particolare, con la sentenza n. 247 del 2010, la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi su due importanti aspetti, entrambi rilevanti ai fini che qui interessano. Sotto un primo profilo, èstata affermata expressis verbis la legittimità dell’imposizione di divieti che limitano le possibilità  di  esercizio  di  attività  commerciali  nelle  aree  pubbliche  allo  scopo  della valorizzazione dei centri storici delle città d’arte a forte vocazione turistica. Sotto altro profilo, la Corte ha posto in relazione con tale finalità non solo il più volte citato articolo 52 del Codice, ma anche l’articolo 10, comma 4, lettera g), sopra richiamato, mediante il quale il legislatore ha reso “esplicito che le pubbliche piazze, le vie, le strade e gli altri spazi urbani di interesse artistico o storico rientrano fra i beni culturali, e che essi sono pertanto oggetto di tutela ai fini della conservazione del patrimonio artistico e del decoro urbano”. Nello stesso senso si è altresì pronunciato il Consiglio di Stato, il quale ha enunciato chiaramente il principio della non necessarietà della dichiarazione ai sensi dell’art. 13 del Codice con riferimento alle pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani appartenenti a taluno dei soggetti indicati all’art. 10, comma 1, poiché tali immobili presentano ex se interesse storico-artistico (Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 482).

Sulla scorta di quanto precede, appare necessario che i competenti Uffici dell’Amministrazione adottino, con riferimento alle aree pubbliche contermini ai complessi monumentali  e  agli  altri  immobili  del  demanio  culturale  interessati  da  flussi  turistici particolarmente rilevanti, apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione. In tale prospettiva, è da ritenere che tra tali usi non ammessi possano rientrare a pieno titolo, sulla base delle valutazioni  da  rendere  caso  per  caso,  sia  le  forme  di  uso  pubblico  non  soggette  a concessione di uso individuale (come le attività ambulanti senza posteggio), sia, ove se ne riscontri la necessità, l’uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico.

I competenti Organi periferici dovranno, peraltro, indicare motivatamente quali usi del bene siano da ritenere non compatibili con le esigenze di tutela e di valorizzazione, specificando, tra l’altro, secondo quanto fin qui si è detto, se siano vietate solo le attività ambulanti senza posteggio o tutte le attività commerciali con concessione di posteggio o anche tutte le occupazioni di suolo pubblico a qualunque titolo. Siffatti apprezzamenti tecnico- discrezionali, riservati alle competenze di gestione degli organi periferici a ciò preposti, dovranno naturalmente obbedire ai fondamentali principi di ragionevolezza e di proporzionalità.

 

 

3.2.2 Adozione di prescrizioni di tutela indiretta

Sotto  diverso  profilo,  verrà  presa  in  considerazione l’adozione,  rispetto  alle  aree  non assoggettate di per sé a tutela, ma costituenti la cornice ambientale di beni culturali direttamente tutelati, di prescrizioni di tutela indiretta, ai sensi dell’articolo 45 del medesimo Codice. Ciò allo specifico fine di impedire che – specie mediante l’installazione di posteggi, banchetti o strutture stabili o precarie di varia natura e tipologia – sia pregiudicata la visuale dei beni direttamente vincolati ovvero ne siano “alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.

 

 

3.2.3. Esigenze di pubblicità e repressione degli illeciti

I provvedimenti adottati ai sensi dei paragrafi 3.2.1 e 3.2.2. avranno come diretti destinatari i soggetti proprietari o consegnatari delle aree pubbliche interessate, spesso individuabili nei Comuni. I medesimi provvedimenti sono peraltro destinati a riverberare i loro effetti anche nei confronti di due ulteriori ordini di soggetti: in primo luogo, i titolari di diritti di uso individuale delle aree interessate; in secondo luogo, la stessa generalità dei consociati, in quanto titolare di un diritto di uso pubblico delle aree stesse, da esercitarsi nel rispetto delle prescrizioni e dei divieti impartiti a difesa del superiore interesse inerente la tutela dei beni. Occorre peraltro precisare – anche ai fini del regime della partecipazione procedimentale – che  la  posizione  giuridica  delle  ora  dette  due  categorie  di  soggetti  si  presenta  non omogenea, atteso che gli uni – i soggetti titolari di diritti di uso individuale delle aree interessate – vantano una posizione particolare qualificata e differenziata, che attribuisce loro  veste  di  soggetti  direttamente  incisi,  titolari  uti  singuli  di  un  interesse  legittimo partecipativo, mentre gli altri – la generalità dei consociati – vantano esclusivamente un interesse semplice o di fatto e, dunque, un titolo uti cives alla partecipazione procedimentale, ma non anche un vero e proprio  interesse  legittimo  a  partecipare personalmente al procedimento medesimo (salvo il caso in cui l’interesse diffuso non si concentri e si intesti in capo ad apposite associazioni o comitati aventi lo scopo statutario della tutela del patrimonio culturale).

Al riguardo, oltre alle ordinarie procedure di notifica nei confronti del soggetto proprietario del bene interessato e fermo restando l’obbligo per gli enti territoriali di recepire le prescrizioni di tutela indiretta nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici, ai sensi dell’articolo 45, comma 2, secondo periodo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, oltre che nei regolamenti annonari, di polizia e igiene locale, si rende necessario assicurare che le determinazioni adottate siano altresì rese pubbliche e conoscibili con mezzi idonei nei confronti sia dei titolari di eventuali concessioni che della collettività.

Per quanto riguarda la posizione dei soggetti titolari di diritti di uso individuale delle aree interessate, alla stregua di quanto sopra precisato, sarà necessario che gli Uffici destinatari della presente Direttiva, che intendano avviare procedimenti ulteriori di tutela, si avvalgano della  collaborazione dei  competenti  enti  territoriali  ai  fini  della  individuazione di  tali soggetti, tenendo conto del principio generale, enunciato negli articoli 7 e 8, comma 3, della legge n. 241 del 1990, secondo cui occorre la comunicazione individuale di avvio del procedimento, ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi, nonché ai soggetti diversi dai suoi diretti destinatari, purché individuati o facilmente individuabili, qualora dal provvedimento possa derivare loro un pregiudizio. Ciò, però, salvo che per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, nel qual caso l’amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta  stabilite  dall’amministrazione  medesima.  Di  conseguenza,  allorquando,  o  per  il numero elevato dei soggetti titolari di diritti di uso individuale delle aree interessate, o per la difficoltà  oggettiva  di  una  loro  compiuta  individuazione  e  identificazione, ricorrano  i suddetti presupposti per l’applicazione di forme alternative di partecipazione, l’amministrazione potrà motivatamente evitare la comunicazione individuale dell’avvio del procedimento, facendo ricorso a forme di pubblicità di massa alternative, quali la pubblicazione all’albo pretorio del comune e sul sito internet istituzionale dell’amministrazione.

Gli  Uffici  garantiranno,  altresì,  la  vigilanza  sul  rispetto  delle  prescrizioni  impartite, adottando i pertinenti provvedimenti repressivi previsti dalla Parte quarta del Codice.

 

 

4. Collaborazione con gli Enti locali al fine della eventuale ricollocazione dei titolari di concessioni di posteggio su aree pubbliche

Le   articolazioni  periferiche  del   Ministero  assicureranno  ogni   opportuna   forma   di collaborazione nei confronti dei Comuni al fine della individuazione di altre aree idonee alla ricollocazione dei posteggi le cui concessioni siano cessate a seguito dell’adozione delle iniziative di cui ai paragrafi 2 e 3, nel rispetto delle vigenti disposizioni normative di legge regionale.

Al  riguardo,  mette  conto  di  rammentare  che,  come  chiarito  dalla  giurisprudenza,  è certamente doveroso, nell’esercizio dell’attività ampiamente discrezionale di regolamentazione del commercio su aree pubbliche, considerare l’interesse di cui sono portatori  i   titolari  di  concessioni  in  atto;  tuttavia  l’esistenza  di  siffatti  titoli,  ed eventualmente il carattere “storico” degli stessi, non costituiscono ex se cause impeditive dell’adozione di nuove determinazioni al riguardo. Invero, le concessioni di beni pubblici non danno mai luogo a diritti intangibili e sono invece, per loro natura, revocabili, in base a una nuova valutazione degli interessi pubblici e privati in gioco.

D’altra parte, è parimenti principio consolidato dell’ordinamento giuridico che la tutela dell’interesse costituzionalmente primario inerente la tutela del patrimonio culturale assume carattere preminente rispetto agli altri interessi da ponderare, ivi incluso quello avente a oggetto l’esercizio di attività economiche private.

In questo senso si è pronunciata, invero, anche la Corte costituzionale, la quale, con la già citata sentenza n. 247 del 2010, ha ritenuto non lesiva del suddetto diritto la disposizione della legge regionale del  Veneto 25  febbraio 2005, n.  7  che  ha  introdotto un  divieto generalizzato di esercizio del commercio itinerante nei centri storici dei comuni aventi più di  cinquantamila abitanti.  In  tale  occasione,  la  Corte  ha  espressamente riaffermato  la cedevolezza della libertà di iniziativa economica privata  rispetto ai fini di utilità sociale richiamati dallo stesso articolo 41 della Costituzione che tale libertà riconosce e che, inoltre, tra tali fini rientra certamente la salvaguardia della “ordinata fruizione” e della “valorizzazione dei maggiori centri storici delle città d’arte del Veneto a forte vocazione turistica”.

D’altra parte, alla stregua della gerarchia dei valori e interessi disciplinati dall’ordinamento, sulla scorta dell’art. 9 della Costituzione, come declinato dal Codice dei beni culturali e come   costantemente   interpretato   dal   Giudice   delle   leggi   e   dalla   giurisprudenza amministrativa e penale, i sopravvenuti provvedimenti restrittivi di tutela, della specie di quelli qui considerati, svolgono effetti prevalenti sui titoli amministrativi, pur legittimi, di tipo annonario e commerciale, acquisiti e vantati dai singoli, e sono pertanto idonei a travolgere e superare ogni precedente provvedimento amministrativo di altre Autorità, oltre che eventuali precedenti provvedimenti di assenso emanati dagli stessi organi ministeriali. Riguardo a questi ultimi, occorre peraltro richiamare l’attenzione sulla circostanza che il nuovo provvedimento assumerà consistenza di determinazione di secondo grado, di autotutela, anche parziale, e dovrà pertanto obbedire ai canoni generali dettati dagli articoli 21-quinquies o 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (con i connessi aggravamenti procedurali e motivazionali).

Occorre infine evidenziare, in ordine al profilo della ricollocazione delle attività che dovessero risultare vietate nei pressi dei complessi monumentali e dei beni culturali interessati dalle misure contemplate nella presente direttiva, che eventuali normative e discipline regionali e comunali che riconoscano, in favore dei soggetti beneficiari di concessioni o  autorizzazioni, nel caso di ricollocazione delle attività, titoli giuridici al conseguimento di  condizioni  equivalenti  od  omogenee,  dovranno  essere  interpretate  e applicate in modo da escludere in ogni caso qualsivoglia automatismo nella rilocalizzazione di  tali  attività  in  prossimità  di  altri  beni  culturali  e  complessi  monumentali,  e  ciò all’evidente finalità di evitare il perpetuarsi delle stesse ragioni di criticità, trasferite e riproposte presso altri siti culturali. La necessità di questa interpretazione e applicazione costituzionalmente orientata di tali, eventuali, fonti normative e amministrative generali delle autonomie territoriali è imposta dalle prioritarie esigenze di tutela e corretta valorizzazione dei beni culturali, aventi un valore giuridico sovraordinato, giusta il disposto dell’art. 9 della Costituzione e in base ai principi enunciati nella Parte I del Codice di settore, rispetto a quelle di esercizio del commercio e delle altre attività su suolo pubblico che risultino con le prime negativamente interferenti.

 

 

5. Relazione

Le Direzioni regionali riferiranno al Segretario generale e all’Organismo indipendente per la valutazione della performance in merito alle iniziative adottate e ai risultati conseguiti in attuazione della presente direttiva, inviando entro sei mesi una dettagliata relazione al riguardo e curando il successivo aggiornamento periodico delle informazioni trasmesse.

Il Segretario generale elaborerà una relazione di sintesi al Ministro, nella quale saranno esposte le attività svolte e le relative risultanze e verranno altresì proposte le eventuali ulteriori azioni da adottare per il perseguimento delle finalità di cui al paragrafo 1, sia in via amministrativa che, ove necessario, mediante modifiche normative.

 

La presente direttiva sarà inviata ai competenti Organi di controllo.

 

 

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